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Somos Mari Pepa

Regia di Samuel Kishi vedi scheda film

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La recensione su Somos Mari Pepa

di OGM
7 stelle

Quattro ragazzi messicani credono che il loro futuro sia una band. Il loro gruppo ha un nome strano, ispirato agli spinelli e ai genitali femminili. E, per il momento, il suo repertorio è formato da una sola canzone, dal ritornello riprovevole. Ce ne vorrebbe almeno un’altra per poter partecipare ad un imminente concorso. Alex e i compagni ci provano, ma non hanno fatto i conti con la vita, con il tempo che passa, con gli eventi che sono tanto più forti di quell’improvvisato complesso musicale. Nel film di Samuel Kishi prevale il senso della disgregazione, intesa come un naturale processo che pone fine alle iniziative troppo acerbe e fragili, le imprese avventate che, come niente, si lasciano cogliere di sorpresa. Quando i sogni cominciano a mostrarsi meno raggiungibili di quanto auspicato, la storia innesta un ritmo lento, improntato alla svogliatezza. Il maggiore ostacolo alla realizzazione di quei progetti è l’incapacità di gestire le situazioni al contorno: una fidanzatina che chiama continuamente al cellulare, una nonna che diventa sempre più stramba ed inaffidabile, una famiglia che preme affinché il figlio prosegua gli studi o si trovi un lavoro. La vertigine adolescenziale procurata dal vorticare del mondo, per una volta,  non si traduce nell’ebbrezza di sentirsi liberi ed onnipotenti, bensì nell’incubo di non capire cosa stia accadendo, e di non sentirsi più padroni delle proprie azioni. L’effetto prodotto sulla mente è un sordo torpore, che assorbe ogni entusiasmo, che distrae e fa andare fuori tempo, che provoca stonature ed impedisce alle note di unirsi nell’impetuosa armonia del rock. Il giovanilismo si spegne, perde il fiato ed inizia ad arrancare, quando l’ubriacatura dei vent’anni si identifica con lo stordimento indotto da un’indigestione di realtà: questo film descrive un cammino che, d’un tratto, si fa inaspettatamente stentato, trascinandosi nel disorientamento, accompagnato dal triste stupore di chi scopre di avere tutti contro: gli altri esseri umani ed, insieme a loro, anche un beffardo destino. In questa commedia dal tono dimesso, anche l’amarezza si lascia benevolmente annacquare dal sapore indistinto di un blando sgomento, di un trauma che è lieve solo perché non ne sono state comprese le ragioni, il carattere, l’esatta portata. Anche la disillusione partecipa al gioco al ribasso, riducendosi al sibilo di una favoletta che si disfa al primo soffio di vento. Nel cuore del racconto sopravvive, silente, l’unico desiderio adulto, l’unica forza in grado di arrestare la corsa verso la fine dell’innocenza, aggrappandosi ad un appiglio robusto: quella risorsa nascosta, che solo all’ultimo scopre le carte,  è la disperata ed inconscia ricerca di ciò che rimane, quel fondo che resiste ai cambiamenti ed alle certezze che non torneranno mai più. Quel qualcosa è forse la profonda radice di un’amicizia destinata a durare, o forse solo la superficiale emozione di una insondabile complicità. Bene o male, si riesce sempre ad andare oltre, e ciò avviene con la stessa semplicità con la quale, un giorno, si è smarrita la strada. 

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