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Southcliffe

Regia di Sean Durkin vedi scheda film

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La recensione su Southcliffe

di GIANNISV66
10 stelle

Un paesaggio desolato avvolto in una perenne foschia, una spiaggia abbandonata al ritmo delle maree e una natura che cerca di riappropriarsi degli spazi umani, con le erbacce e l'umidità che salgono a sovrastare le malconce rovine dell'Inghilterra post industriale.
Southcliffe è un luogo dove poter crescere i propri figli in tranquillità, una cittadina dove tutti si conoscono, dove la nebbia calata come una coperta sembra garantire la serenità dei suoi abitanti.
Ma la nebbia non è sicurezza, rischiarata a mala pena da lampioni moribondi non riesce a coprire le miserie umane che alla fine esplodono per mano di un poveraccio afflitto da un grave disagio psichico tra l'ironica indifferenza di tutti i suoi compaesani.
Southcliffe è stata, almeno per chi scrive, l'autentica sorpresa dell'ultimo TFF, un prodotto televisivo costruito con una perizia da far invidia alla maggior parte delle pellicole che vengono mandate in visione nelle sale cinematografiche, ben sceneggiato (porta la firma di Tony Grisoni,già autore del notevole Red Riding), ben diretto  da Sean Durkin, e ottimamente intepretato da un cast impegnato in una prova straordinaria.
La vicenda si svolge in una immaginaria cittadina, quella che dà il nome alla pellicola, situata in una zona paludosa e lontana da centri importanti, un tranquillo villaggio inglese di villette monofamiliari. La vita scorre tranquilla, come in altri posti simili, tra malcelate crisi familiari, ordinarie storie di tradimenti, fidanzatine innamorate in attesa del ritorno dei loro ragazzi impegnati in missione all'estero nel regio esercito e serate al pub a riempirsi di birra con gli amici sulle note del pop britannico anni '80.
L'elemento di rottura è rappresentato da Stephen Morton, detto "commander", un disadattato che vive con la madre gravemente malata, ex militare in congedo (probabilmente proprio a causa dei suoi problemi) che tira a campare facendo lavoretti malpagati per i suoi concittadini e vantando un passato tanto illustre quanto inesistente nelle foze speciali.
Smascherato da un giovane soldato reduce dall'Afghanistan e dallo zio di questi (tipico esempio dell'orgoglio guerrafondaio britannico), viene pesantemente umiliato cosa che lo manderà definitivamente fuori di testa con conseguenze nefaste per la cittadina.

Ci sono molte chiavi di lettura in Southcliffe, ve ne sono così tante che rischiano di sovrapporsi, come si sovrappongono le storie dei numerosi protagonisti; vicende incrociate, distanti fra di loro eppure collegate dal filo rosso della tragedia scatenata dalla follia di un singolo la cui mente devastata è stata però armata dalla stupidità che pervade molti.
C'è la violenza innanzitutto, la violenza che abita la mente dei tranquilli borghesi di Southcliffe, che vedono con orgoglio i loro figli indossare una divisa e andare a rischiare la vita a migliaia di chilometri per la gloria del regno. Stephen, travolto dal problema di una madre completamente bloccata in un letto, può contare appena sull'aiuto di un'assistente sociale che lo visita per pochi minuti, vive in uno squallore desolante ma possiede armi da fuoco che mostra con orgoglio al giovane soldato appena arrivato dalla missione.
Sembra quasi una parodia dell'Inghilterra Tatcheriana, con i servizi sociali azzerati a favore di un militarismo becero, il valore della solidarietà soggiogato da un fascismo nascosto dal perbenismo borghese di chi arma un esercito per andare a esportare la democrazia in un paese lontano, mentre si ignora il disagio che alberga a pochi metri dalle linde casette.
C'è l'ipocrisia di chi ostenta agli amici una bella famigliola, un vita piacevole tra figlioletti e partite di calcetto con gli amici, tranne poi correre dietro all'illusione di un rapporto con una minorenne, con la sfrontata sicurezza di chi in fondo sa di poterla fare franca.
C'è il rampantismo di un giornalista lanciato in una fulgida carriera, portato dagli eventi a tornare in un luogo che pensava di aver messo nella soffitta dei ricordi sgradevoli, e costretto ad affrontare i fantasmi del passato, per uscire alla fine sconfitto dal confronto.
E c'è, soprattutto, il dolore terribile che deriva dalla perdita improvvisa delle persone care, la consapevolezza di dover affrontare la vita senza la presenza di chi costituiva il motivo stesso dell'esistenza, la difficoltà di elaborare il lutto ma, soprattutto, l'impossibilità di dare una spiegazione a un evento tanto straziante quanto assurdo.  

Siamo di fronte a un prodotto di qualità straordinaria, ma tutt'altro che facile. Viene richiesta allo spettatore una attenzione  elevatissima, le vicende si sovrappongono con continui rimandi e richiami ai vari momenti in cui si snoda la narrazione.
E non vi è nulla di consolatorio nello sviluppo della storia, solo la consapevolezza di quanto può essere crudele la illogicità di certi comportamenti umani. Illogicità però solo apparente perché la spiegazione sta dentro le righe, ma bisogna essere bravi a leggerla.  
Detto dei meriti indiscutibili dello sceneggiatore e del regista, non si può però non tributare il giusto riconoscimento all'eccellente manipolo di attori impegnato a rendere una prova di notevole qualità, tanto da risultare difficile fare graduatorie.
Citiamo tre nomi fra i tanti, Sean Harris nei panni dello psicolabile Morton, Rory Kinnear che intepreta il giornalista David Whitehead, cui il ritorno alla natia Southcliffe rappresenterà la svolta rovinosa della carriera, e Eddie Marsan nel ruolo di Andrew Salter, padre di una delle vittime.
Se qualche canale televisivo avrà il coraggio di trasmetterlo, non perdetevelo per nessuna ragione.

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