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Il ribelle - Starred Up

Regia di David Mackenzie vedi scheda film

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La recensione su Il ribelle - Starred Up

di logos
8 stelle

Il ribelle Eric, fino all’età di 18 anni, ha passato la sua esistenza in orfanotrofio e poi in case di correzione, ma a causa del suo temperamento contro qualunque forma di disciplina penale viene tradotto in un carcere di massima sicurezza per adulti, nella stessa area dove è presente suo padre ergastolano, che non ha mai più visto da ben lunghi anni, quando Eric era ancora un bambino. La dinamica che si viene a instaurare tra i due è molto complessa, intrisa com’e di sensi di colpa, di rimorsi, rancore e legami irrisolti.

 

Il giovane Eric, nonostante sia sottoposto a un regime duro, si fa subito notare per la sua violenza, che in un giro di pochi secondi è capace di tramortire un detenuto o neutralizzare più guardie carcerarie in un colpo solo. Il padre cerca di stargli addosso, a modo suo, per proteggerlo da eventuali ritorsioni, ma tutto avviene in un clima intricato, in una gerarchia informale tra galeotti, ben architettata dal capo delle guardie e dal leader dei carcerati, alle spalle della stessa direttrice del carcere, che non viene neanche avvisata, per l’occasione, dell’arrivo del nuovo detenuto.

 

Il film si concentra su alcuni punti nodali, esaminati con notevole fedeltà alle dinamiche di un istituto di pena. Innanzitutto la figura di Eric, in secondo luogo il rapporto che intrattiene col padre e con gli altri detenuti, ma anche la figura degli agenti e del loro capo, dal carattere torbido, in rapporti di compromesso con il leader recluso; importante anche l'affondo sul gruppo di autoterapia organizzato da uno psicologo volontario.

 

Via via che gli eventi incalzano, Eric dovrà, su pressione del padre, par parte del gruppo di auto aiuto. Il rapporto con questo gruppo e con lo psicologo volontario, seppur con notevoli difficoltà, aiuteranno Eric a rielaborare il suo passato doloro, contrassegnato dall’abuso di un pedofilo che poi ha ammazzato. Tutto ciò porterà Eric ad aver consapevolezza maggiore non solo sulla propria omosessualità latente, ma anche di quella esplicita del padre. Nel frattempo, il responsabile delle guardie cerca in tutti i modi di evidenziare che il gruppo di autoaiuto è controproducente, e che Eric dovrebbe rimanere permanentemente in isolamento. La direttrice acconsente a che Eric faccia parte del gruppo, ma a patto che abbia un comportamento adeguato, perché alla prima mossa sbagliata seguiranno le diposizioni di isolamento. Il fatto è che Eric nel gruppo socializza e sembra aprirsi, e tutto questo scatena conseguenze di non poco conto.

 

Da una parte l’intenzione di sopprimerlo, in base a un accordo tra il responsabile degli agenti e il capo carismatico dei detenuti; dall’altra il disorientamento del padre, che si sente sempre più minacciato nella sua omosessualità per i rancori assopiti del figlio ma che il gruppo sta risvegliando. E davvero notevole come sceneggiatura e regia siano in grado di tener a bada tutte queste dinamiche. Preziosi sono i momenti di dialogo, che per un non nulla si trasformano in violenza psicologica e fisica, tra i detenuti del gruppo, nonostante le dolorose mediazioni dello psicologo volontario, che malgrado assuma un ruolo un po’ più in secondo piano è tuttavia presentato in maniera funzionale al tutto, e soprattutto vengono esaltate le sue qualità e le fragilità inevitabili in un contesto così complesso, dove sostanzialmente viene ostacolato da tutti: dal responsabile degli agenti e di conseguenza dalla direttrice, ma anche da tutti gli altri detenuti che non fanno parte del gruppo stesso; in più viene a trovarsi in un difficile rapporto con il padre di Eric, il quale se prima insisteva perché facesse parte del gruppo, ora inizia a essere sempre più avversivo, proprio perché sta nascendo un Eric finalmente consapevole delle sue potenzialità, e anche capace di identificare l’omosessualità del padre.

 

Il tutto precipita via via. Per una discussione nel gruppo Eric viene espulso dal responsabile degli agenti contro la stessa volontà dello psicologo. Di fronte a questo ennesimo fallimento, lo psicologo, dopo uno scontro durissimo con il responsabile degli agenti, deve rassegnare le sue dimissioni. In più dopo uno scontro fisico tra padre e figlio durante il ritiro del pasto dalla mensa, i due, padre e figlio, vengono sottoposti in isolamento separato. Il gioco è pronto per assassinare Eric da parte delle guardie, secondo gli accordi presi dal loro responsabile con il galeotto leader del carcere. Gli eventi non avranno un lieto fine, tutto proseguirà ma non prima che il padre di Eric riesca a salvare la vita a suo figlio e uccidere il leader che complottava con il responsabile degli agenti. E’ quanto basta per realizzare un riconoscimento reciproco tra padre e figlio, ma tutto proseguirà come prima, anzi il padre verrà tradotto in un altro carcere. Eric, tuttavia, dentro di sé, ha maturato qualcosa di prezioso che gli servirà per la sua esistenza: l’amore e il perdono dal e del padre.

 

Con le parole, le mie nella fattispecie, è difficile rendere onore a questa pellicola. E’ vero, di film sul carcere ce ne sono molti, e i migliori si contraddistinguono per un motivo o per l’altro. Questo film, però, non ha nulla di meno, anzi… Si caratterizza per la sua capacità di evidenziare come le dinamiche carcerarie siano molto complesse, sfuggenti e violente, basate su meschinità e compromessi tattici, su un terreno friabile; la sua qualità è nel riuscire a pedinare, attraverso scene che via via dipanano la trama, il sapersi muovere, su un piano psicologico e comportamentale, in un ambiente ostile, ma che al tempo stesso riserva vie strette di solidarietà. E’ un film da non sottovalutare, da vedere e recensire, tempo permettendo.

 

Non sono risparmiate azioni anche violente, ma ciò che ne alza il livello è l'intensità psicologica e esistenziale che si vive in questo dramma. Bravi gli attori, Jack O'Connell nella parte di Eric, e Ben Mendelsohn nella parte del padre. Bravissimi nel recitare una gamma di emozioni controverse, che vanno dalla tenerezza alla sfida incontenibile, fino al riconocimento reciproco della riconciliazione. Bravi anche tutti gli altri del cast. La scenggiatura poi è decisamente fedele, scritta del resto da Asser, che ha vissuto, in prima persona, la professione di educatore in carcere. Ottima regia. 

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