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Il grande match

Regia di Peter Segal vedi scheda film

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M Valdemar

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il grande match

di M Valdemar
6 stelle

Jake LaMotta vs. Rocky Balboa.
Mito vs. farsa.
Gloria vs. senilità.

Le premesse per un ko memorabile (o, peggio ancora, trascurabile) c'erano tutte, ed invece Il grande match quasi quasi è un'operetta niente male, una vecchia giostra (meta)cinematografica sulla quale ci si fa un giro più che volentieri. Per divertire, diverte, dacché il pericolo dell'orrido pastrocchio tinto peraltro di tristissimi toni di blasfemia (il primo Rocky è grande intrattenimento e un cult assoluto; Raging Bull è un capolavoro indiscusso della settima arte) è scongiurato: goliardia e nostalgia si prendono per mano conducendo le sfrenate danze dei pensionati alla riscossa. L'arma vincente è l'autoironia, il (volutamente) grasso gioco citazionistico che prende di mira i due mostri sacri filmici facendoli incrociare in una (im)possibile evoluzione da non prendere sul serio. Mai.
Arduo star dietro agli infiniti rimandi; altrettanto difficile - ma non richiesto - è sospendere l'incredulità di fronte alla vicenda di eterna rivalità dei due personaggi, alle loro ansimanti scazzottate da gerontocomio trasportate di peso (e il peso, in particolare nel caso di De Niro è tanto ...) su un ring  in cui anche l'arbitro è anziano e la folla - equamente divisa, of course - impazzisce come neanche in uno show da wrestling (cioè dichiaratamente fasullo).
Scene, situazioni, figure e psicologie (perlopiù spicce) che appartengono all'immaginario collettivo, cose straviste oramai innumerevoli altre volte: cliché e stereotipi - ma anche innegabili vuoti di script annegati nel chissenefrega - (sovr)abbondano e vivono la loro terza età tra voglia di tenerezza (sono molti i film che ultimamente affrontano, anche seriamente, le problematiche dell'anzianità) e bisogno di soddisfare desideri inconcepibili.
Potenza del cinema: pugni raggrinziti "volano" sullo schermo, disegnando traiettorie più intuite che mostrate e producendo schizzi ematici e nasi e sopraccigli rotti [tengo d'occhio quella ferita]. Yeah, i due improbabili gonfi protagonisti, la cui rivalità si trasformò in odio reciproco a causa di una donna (toh, e chi se lo aspettava!), sembrano darsela di santa fottuta ragione. Fino alla fine (delle riprese).
Per fortuna, come detto, a stemperare la materia altrimenti farsesca sino alla più becera pagliacciata, vi è una vena comica brillante (e non priva di volgarità), che a tratti sfiora il delirio puro, come nella scena che vede i Nostri impegnati in una rissa vestiti da babbei verdepisello (l'occasione era per immortalare le loro gesta nell'irrinunciabile videogame di turno). Se persino Stallone e De Niro condiscono le loro performance di espressioni spiritose (spesso sono insulti che si scambiano a vicenda), imprescindibile risulta essere il personaggio interpretato dal solito magnifico Alan Arkin (un habitué, vedi l'acchiappa-Oscar Argo e soprattutto Uomini di parola): battute, mimica e pose quasi sempre esilaranti e puntuali. Più convenzionale, e non tanto divertente al contrario, le gag affidate all'improvvisato organizzatore dell'evento (col quale si gioca, banalmente, su bassa statura e manie di grandezza). Insomma, un modo necessario sia per alleggerire l'inverosimiglianza della storia ma anche per riflettere (pacatamente, e senza pretese, per carità) sui tempi e sul tempo che passa per tutti.
Peccato per l'immancabile retorica da buoni sentimenti che affiora qua e là; e di prepotenza nel finale: il fu Rocky (qui "Razor") e il fu LaMotta (qui "The kid") che s'impietosiscono sul ring aiutandosi reciprocamente a rialzarsi, non si può vedere; oppure vedasi la risoluzione felice che riguarda le vicende personali dei due (uno, The kid, che sembra finalmente mettere la testa a posto; l'altro, Razor, che ritrova dopo trent'anni l'amore della sua vita). Soprattutto non  si può sopportare che vinca ai punti (seppure non all'unanimità, piccolo contentino), il più noioso e "perbene" dei due (simile rigetto provato, personalmente, per Warrior di Gavin O'Connor). Che palle.
Poco da dire sulle interpretazioni: Stallone e De Niro si mangiano il film divertendosi (soprattutto il secondo), consapevoli della natura di mera commedia dell'opera (dietro la cabina di regia c'è lo "specialista", quasi mai di lavori degni di nota, Peter Segal). Detto di Alan Arkin, la presenza della smpre affascinante Kim Basinger illumina come una volta, mentre Kevin Hart (l'organizzatore imbranato Dante Slate jr) è messo lì per fare un po' di casino. Positiva, infine, la prova del bravo Jon Bernthal (attore da tenere d'occhio) sebbena debba star dietro a un personaggio abbastanza banale (il figlio di The kid).
Comunque, bando alle cianciose ciance: i titoli di coda portano in dote un paio di sequenze davvero gustose. Nella prima, il felice quadretto familiare di Stallone e compagnia bella è davanti alla tv a vedere le prodezze ballerine di un canagliesco (e assai divertito) De Niro in Dancing with the Stars (tutto il mondo è paese). Nell'altra, Slate jr cerca di pianificare una rivincita Mike Tyson vs Evander Holyfield, con quest'ultimo che, irremovibile nel suo rifiuto (al contrario di Iron Mike che, si sa, non butta via nulla), si interessa solo di fronte alla prospettiva di una partecipazione a Una notte da leoni 4 ...

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