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Cult

Regia di Kôji Shiraishi vedi scheda film

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La recensione su Cult

di inthemouthofEP
7 stelle

Found footage a tinte ironiche firmato da Shiraishi, che, sulla scia del suo precedente "Noroi", imbastisce la trama di esorcisti, showgirls in preda al paranormale e situazioni al limite. Il tono è quello dissacrante dell'autore che si diverte e che sa come utilizzare il mezzo cinematografico e televisivo per parodizzarlo dall'interno.

Koji Shiraishi è un nome che sicuramente giungerà abbastanza sconosciuto.

Anche gli appassionati di cinema orientale probabilmente ne avranno sentito parlare solo di sfuggita, ma è bene soffermarsi un poco su questo autore che, nonostante non sia certamente rilevante come tanti altri registi horror giapponesi (senza scomodare i geni di Miike e Sono, si pensi solo a Takashi Shimizu o Hideo Nakata) merita comunque attenzione per la sua autonomia di pensiero, il corposissimo numero di film realizzati e una capacità piuttosto smaccata nel riuscire nell'obiettivo principe di un horror: fare paura.

E gran parte della poca notorietà in Europa e negli Stati Uniti sta nel fatto che, a differenza dei principali registi J-Horror della scena, Shiraishi non ha mai realizzato un film fuori dai confini dell'arcipelago giapponese: se Shimizu ha esordito in America col costoso remake del suo Ju-on, rinominato per l'occasione The Grudge (2004), e se Nakata è sbarcato a dirigere oltreoceano con The Ring 2 (2005), Shiraishi non ha mai avuto questo onore.

E nemmeno è mai stato tratto un remake da uno dei suoi copiosissimi lavori, mentre per esempio Nakata ha visto la sua fama aumentare in tutto il mondo grazie ai remake dei suoi Ringu (1998, poi riproposto con stile da Verbinski col famosissimo The Ring) e Dark water (2002, violentato indebitamente con quel disastro di remake con protagonista Jennifer Connelly).

Piuttosto famoso in Giappone, Shiraishi potrebbe sembrare uno shooter senza arte né parte a guardare la sua pagina Wikipedia piena di link rossi, mentre dalla sua foto potremmo evincere che è una persona a cui piace quello che fa e non pretende di ottenere qualcosa se non il divertimento proprio e dei suoi spettatori, cosa che in gran parte è vera.

Ma Shiraishi, oltre a essere un regista decisamente spassoso, è anche un autore che gioca abilmente con i suoi personaggi e con i topoi dell'horror, che conosce perfettamente il mezzo cinema e lo destruttura spesso e volentieri in un formato volutamente paratelevisivo, non risparmiando qua e là critiche allo star system e alla società del benessere.

E lo dimostrano i suoi lavori: Noroi (2005) è un piccolo e sconvolgente capolavoro found footage che scava nelle profondità dell'animo umano e utilizza perfettamente staticità e dinamismo della camera a mano per sballottare lo spettatore, senza risparmiare velate prese per i fondelli a tutti quei programmi televisivi su presunti fenomeni paranormali oppure basati su tragedie e storie di famiglie distrutte; Grotesque (2009), nonostante sia perlopiù conosciuto per la sua violenza tremenda e senza appelli, porta dentro di sé scorie della seconda topica freudiana e delle riflessioni non scontate sulla sessualità e sulla masturbazione; Teke Teke (2009) è un J-Horror divertentissimo che ha influenzato parecchio la scena e i film a venire.

E, ovviamente, lo dimostra anche questo CULT.

locandina

Cult (2013): locandina

Targato 2013, il film è un interessante found footage sulla scia di Noroi, di cui riprende per sommi capi le tematiche principali, al quale aggiunge un ingrediente in più, che nell'impasto si amalgama perfettamente: l'ironia

Eh sì, prima di guardare Cult, per non rimanere delusi, bisogna tenere a mente questo: è una commedia, non un horror.

Se Noroi era un film perlopiù serioso e genuinamente inquietante, Cult - pur presentando delle scene molto coinvolgenti e a tratti anche di grande effetto - deve essere inquadrato più come una spudorata parodia dei TV show sul paranormale, un film che, in accordo con la poetica del suo autore, fa divertire e corrode i costumi di un vivere giapponese sempre più americanizzato.

La trama è un pretesto per mettere in scena un numero spropositato di situazioni una meno credibile dell'altra: tre giovani star della tv nipponica (interpretate nel film da vere showgirl del piccolo schermo giapponese) si trovano a dover girare una puntata del loro programma alla ricerca del paranormale indagando su dei presunti demoni che infesterebbero la famiglia Kaneda, composta da madre e figlia di 15 anni - com'è solito nei film di Shiraishi, in cui i padri sembrano non esistere. Quello che vediamo su schermo sono dunque le registrazioni dei cameramen del programma, che immortalano davanti alle loro macchine esorcismi e presenze paranormali come se fioccassero dal cielo.

Tutto quello che viene presentato in Cult è volutamente caustico e confuso. Se Noroi aveva una struttura definita e piuttosto classica, Cult presenta a bella posta un insieme di situazioni sconclusionate: dagli indizi "bomba" nel giardino alle facce che si vedono nella casa di fronte, dai demoni spilungoni che si materializzano con la visione notturna delle telecamere fino a quelli più simili a stuzzicadenti che danzano in pessima CGI di fronte ai nostri personaggi, tutto è una continua follia volutamente senza capo né coda, il che, se preso nel verso giusto, diverte con gusto e intelligenza.

Non è uno Scary Movie, non è un Ghost Movie, non è realizzato da un regista esperto in film comici: è una parodia a tratti furiosa realizzata da un regista che di mestiere fa horror, e che, conoscendo il genere da dentro, sa anche come prenderlo in giro con coerenza.

Cult è un film da prendere col sorriso, che sicuramente farà piacere ai cinefili con tutte le sue citazioni: su tutte L'esorcista di Friedkin, che si mimetizza nel personaggio dell'esorcista più anziano, e Nightmare Detective di Tsukamoto, evidentemente nascosto dietro all'esorcista più giovane, riottoso e in contatto con forze che neanche lui riesce a controllare.

Cult è però anche un film che, pur con finalità ludiche, fa riflettere sulla progressiva perdita di distinzione tra ciò che è vero e ciò che è falso. Shiraishi fa allo stesso tempo metacinema e metatelevisione, e, facendo interpretare a tre famose showgirl giapponesi il ruolo di loro stesse alle prese con dei demoni, sembra voler smontare le convinzioni dello spettatore, portandolo all'agognata domanda: quello che sto guardando è vero?

Quello che Shiraishi vuole comunicarci è che l'uomo del XXI secolo è così anestetizzato sul divano e abituato a credere ciecamente a qualunque cosa venga spacciata per vera e passata in televisione, che ha perso la percezione di cosa sia reale e di cosa invece non lo sia.

Ovviamente noi non-giapponesi, non conoscendo le star della televisione del Sol Levante, possiamo apprezzare meno questo punto, ma le intenzioni di Shiraishi rimangono chiare: dissacrare la società degli schermi e della perdita di identità, in cui ogni vita deve per regola essere uguale a quella di chiunque altro (cosa verissima in questo Giappone "omologato" e "omologante"), così come i personaggi degli horror demoniaci devono essere tutti identici, basta solo che abbiano in casa un demone/fantasma di cui occuparsi (da L'esorcista sono venuti fuori centinaia di personaggi standardizzati in film di cui non vale la pena neanche citare il titolo).

L'operazione svolta da Shiraishi in questo film è - con tutti i distinguo del caso - quella che Carpenter portò avanti nel 2010 con The Ward: la pellicola di un regista consapevole che ancora gioca col cinema, e utilizza la tecnica del jumpscare sia semplicemente per spaventare lo spettatore sia per prendere in giro (benevolmente, si intende) tutti quei film dozzinali usciti nel nuovo millennio che si basano in pratica solo su questa tecnica, e così facendo si distingue da loro.

Se Carpenter si discostava così dagli spaventi facili e confezionati alla The Grudge, Shiraishi si fa beffe dei vari ESP e Paranormal Activity, riuscendoci pure bene.

Ovviamente Shiraishi non vale un'unghia di Carpenter, ma badiamo bene a non sottovalutare questo Cult, perché, nel suo stile leggero e poco pretenzioso, presenta uno studio intrinseco del mezzo cine-televisivo non scontato (si vedano le scene di fermo immagine e zoom sul particolare, semplici ma rivelatorie delle vere intenzioni demistificatorie dell'opera).

 

Curiosità: Cult 2, già in cantiere, fu cancellato per via della fredda risposta di critica e pubblico all'uscita di questo primo e unico capitolo. 

Spero tanto che questa notizia non vi abbia allontanato: Cult non è un capolavoro ma merita la sua visione, specialmente se siete amanti del genere.

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