Regia di Teo Takahashi vedi scheda film
In una Roma spettrale, quasi irriconoscibile se non per qualche iconica sequenza (nella zona della Stazione Termini), si incrociano una manciata di storie di tossicodipendenti cronici. Nessun proclama, nessun falso moralismo, nessuna denuncia se non quella di una disperata disperazione vissuta quotidianamente con paradossale, spiazzante dignità. Tra la comunità di recupero di Villa Maraini, piazze e strade livide di rabbia e rassegnazione, i personaggi (reali) affrontano il muro dell’abbandono sociale e della ghettizzazione. E se non fosse per un manipolo di operatori sociali della Croce Rossa, spesso ex tossicodipendenti, la tragedia assumerebbe contorni ancor più apocalittici. A dispetto del cognome, il regista Teo Takahashi è un 24enne nato proprio nella Capitale, con all’attivo numerosi cortometraggi (tra i lavori, fin dai titoli emblematici, segnaliamo Se Dio esiste è un piatto di carbonara, La morte giusta). Il suo è uno sguardo adulto aggrappato alla vita che trasforma le emergenze e le essenze borderline in manifesti poetici. «Spero di essere riuscito a far trapelare la celata bellezza che si trova dietro ogni esistenza, anche in quelle più difficili e drammatiche» ha dichiarato con pudica ambizione. Vietato morire (altro titolo che andrebbe adottato), tra le molte suggestioni, porta in dote comprensione, solidarietà e un afflato umanista necessario, indispensabile, doveroso, utile, essenziale.
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