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Nebraska

Regia di Alexander Payne vedi scheda film

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La recensione su Nebraska

di maurizio73
7 stelle

Anziano capofamiglia, testardo e alcolista, vuole a tutti i costi raggiungere il Nebraska per riscuotere la somma milionaria che crede di aver vinto leggendo il messaggio pubblicitario di una società inserzionista recapitatogli per posta. Ostacolato dalla moglie,dispotica e insofferente, e dal maggiore dei suoi figli, viene invece aiutato dal più giovane che cerca di assecondare la irriducibile determinazione del genitore ormai vecchio e malato. Percorreranno molte miglia attraverso il cuore di un'America rurale e profonda e le lontane stagioni di una misconosciuta storia familiare fatta di irrisolte recriminazioni affettive e di un mancato riscatto sociale.
Nel rigore asciutto e nitido di uno splendido bianco e nero firmato Phedon Papamichael, Alexander Payne ci conduce attraverso le immense distese del granaio d'America alla ricerca del miraggio, beffardo e ingannevole, di un sogno americano ridotto alla modesta serigrafia di un'inserzione pubblicitaria che viaggia a ritroso dal Montana al Nebraska, lungo statali assolate e cittadine deserte che raccontano le piccole miserie e i conflitti irrisolti di una remota provincia americana dove il tempo sembra essersi fermato e dove, nell'ultima definitiva stagione di bilanci e disillusioni, un vecchio testardo cerca l'ingenuo riscatto ad una vita di amarezze e insoddisfazioni.
Ritornado sul tema del viaggio e della conoscenza interiore (come nel più leggero Sideways - In viaggio con Jack lungo i misconosciuti percorsi di una california di sorprendenti scoperte enologiche), il regista di Omaha riprende gli spunti più classici del dramma on the road di una maturità artistica che alterna visi e paesaggi di un affresco minimalista dove ciascuno sembra avere un posto preciso (i parenti serpenti, gli amici infingardi, gli amori mancati)  e dove gli inganni e le meschinità di una realtà sociale carveriana sono però  mitigati dalla commevente semplicità dei valori familiari e dell'amore filiale. Come nell'eroica intrapresa del contadino lynchiano di 'Una storia vera', il viaggio dell'anziano reduce interpretato dalla maschera solcata dal tempo di uno straordinario Bruce Dern, è il percorso a ritroso di un uomo alla ricerca di una smarrita identità sociale e di una irrinunciabile eredità umana da trasmettere ai propri nipoti e, nello stesso tempo la straordinaria scoperta di un rapporto filiale che, sostenendo l'illusione e l'inganno, conferma la qualità dell'uomo e dei suoi valori ('Non vuoi bere una birra con tuo padre?'). Sul difficile crinale di un realismo amaro che alterna il patetico con il poetico, Payne evita le secche del facile sentimentalismo attraverso l'uso di un registro di smaccata ironia e la perfetta direzione di un eccellente cast di interpreti tra cui il giovane e bravo Will Forte e il maturo e navigato Stacy Keach. Miglior interpretazione maschile a Bruce Dern alla  66ª edizione del Festival di Cannes per quello che sembra come uno struggente e definitivo testamento artistico di un grande vecchio del cinema americano.

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