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The Wolf of Wall Street

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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La recensione su The Wolf of Wall Street

di Utente rimosso (cinerubik)
6 stelle

Due film diametralmente opposti come Hugo Cabret e The Wolf of Wall Street, rappresentano (in attesa dell'uscita di Silent) le ultime "fatiche" di Martin Scorsese e a conoscerne il cinema, viene da immaginarsi un guidatore che, preso uno svincolo della canonica tangenziale, ripercorre la rotonda a 360° per  reimboccare la medesima corsia della medesima strada. Un percorso in ascesa, quello dei protagonisti del film, gente di quartiere "risucchiata" dal grande "sogno americano", così alla portata di tutti, che troppo spesso viene anteposto alla morale e all'onestà. Il Lupo di Wall Street è Jordan Belfort, personaggio reale  (la sceneggiatura trae le fondamenta dalla sua autobiografia), intrepretato in maniera impeccabile da un Leonardo Di Caprio, ormai divenuto "arteria" del regista. Sullo schermo scorrono gli eccessi e l'esaltazione di un mondo (quello di Wall Street) che viene definito dallo stesso Belfort "senza amici" ma dove in realtà gli amici ci sono, fanno da spalla, hanno tale devozione da fargli preferire il carcere al tradimento e condividono vizi (dalla droga alle "miserie" come  l'utilizzo di nani nelle maniere più vessatorie al fine di uno svago dal sapor di perversione), donne e uno stile di vita senza freni inibitori. Jordan, istruito al brookeraggio e all'utilizzo di droghe a "beneficio" della mente nell'ambito della sua professione da un bizzarro Matthew McConaughey (breve ma significativa apparizione per lui), perde il posto di lavoro dopo il suo primo giorno, in coincidenza del catastrofico lunedì nero di Wall Street ma le poche ore trascorse nel mondo della borsa e delle speculazioni gli hanno già trasmesso entusiasmo, passione e sentimento per quel ruolo. Scopertosi abile nel piazzare azioni di poco valore (le cosidette Penny Stocks) con altissime percentuali di commissione, fonda una società (la Stratton Oakmont) insieme a un gruppo di persone sprovvedute (tra le quali alcuni spacciatori) ma attratte dal denaro facile. Jordan toglie la gente dalla strada e le insegna l'arte dell'inganno e ne ottiene in cambio riconoscenza, fedeltà, fanatismo. La storia ha un ritmo frenetico e si assiste quasi in apnea alle esagerazioni che diventano follie di un gruppo che festeggia ogni successo con abbondanti sesso, droghe e goliardia greve. Ci si diverte con lo sconsiderato Jordan e i suoi verdoni che grandinano come un temporale estivo ma si accantona quasi il raziocinio, la parte lesa e morale della questione (e non parlo dei rappresentanti della legge); si percepisce l'assenza di una voce fuori dal coro della quale il film è privo. Di Caprio (che figura anche tra i produttori di THE WOLF OF WALL STREET) parla della sceneggiatura come un atto di voluto isolamento dello spettatore nella prospettiva di questa gente che, a detta dello stesso Leo "non ci piace" anche se in realtà, allo spettatore, la mitizzazione di Jordan può essere paragonata a quella di adepti di una setta. Ogni volta che Jordan Belfort impugna il microfono per motivare i suoi brookers, il silenzio cala "religioso" per poi trasformarsi in una sorta di Bombonera di Buenos Aires quando, "incendiato" dai suoi slogan, il "branco" sgancia i freni dei decibel e dell'entusiasmo, in una folle ebbrezza che finisce (alla lunghissima) per stancare un po'. È assente, in sostanza, una ribellione, l'io non ci sto della persona, dell'amico, della moglie (sempre piuttosto remissiva), dell'uomo che lustra la boccia del suo pesce rosso (volutamente fatto passare per "sfigato" ai nostri occhi) e vittima per questo del "cannibalismo" del branco. In un'autobiografia (perché tale è questo film e la scena multiprospettica -decisamente la migliore- in cui Jordan torna a casa in Ferrari sovraccarico di pasticche, lo dimostra) solitamente viene resa nota la situazione attuale dei personaggi realmente esistiti, ma questo non avviene nel film di Scorsese (nemmeno della moglie e dei figli viene reso noto il destino). Il mio giudizio finale, probabilmente già emerso da quanto scritto in queste poche righe è di uno Scorsese più che sufficiente ma non al meglio (l'anamorfico però lo apprezzo sempre), di un Leonardo Di Caprio in grande spolvero in una trama ridondante che ne illumina ogni capacità espressiva drammatica e caricaturata e di un Jonah Hill, nei panni dell'amico e "braccio destro" Donnie, sopravvalutato (ha reso molto "cartoon" anche le scene più sobrie). The Wolf of Wall Street l'ho potuto visionare nella original version e devo dire di non aver mai sentito tanti "fuck", "fucking" o "dick", utilizzati come intercalare (vengono "spesi" come punteggiatura). Il difetto più grande di questa storia (ricordo che si tratta del mio umile parere) è il mancato approfondimento di alcune vicende trasversali importanti (non c'è traccia dei truffati ad esempio) nonostante l'eccessiva lunghezza (circa tre ore). Anche un'ostentazione sfrenata del sesso in ogni sua forma ha finito per stancarmi. Considero comunque The Wolf of Wall Street un film divertente e molto umorale anche se non credo lo riguarderò mai (fatta eccezione forse per la "perla" contenuta in esso e cioè l'interpretazione di Matthew McConaughey). Ho iniziato queste considerazioni mettendo a confronto due diversi Martin Scorsese e forse la mia parrà una valutazione ingarbugliata ma tra quello di Hugo Cabret e di The Wolf of Wall Street, preferisco quest'ultimo anche se paragonando i due film scelgo Hugo Cabret e la nostalgia poetica di un cinema ricco di passione che in questo film si percepisce soltanto a tratti.

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