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The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca

Regia di Lee Daniels vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca

di miss brown
4 stelle

Macon, Georgia, 1926. Il piccolo Cecil, 9 anni, assiste sgomento allo stupro della madre (Mariah Carey) da parte del proprietario (Alex Pettyfer) della piantagione di cotone in cui la famiglia lavora, a cui segue l'omicidio del padre, reo di aver guardato dritto negli occhi lo stupratore. La tragedia, paradossalmente, segna una svolta positiva nella vita di Cecil: l'anziana padrona (Vanessa Redgrave) a titolo di risarcimento lo accoglie fra il personale della villa e lo educa a diventare un “negro di casa”.

Adolescente, Cecil fugge in cerca di una vita migliore. Da un ristorante a un albergo, segue tutta la trafila fino a diventare capo-cameriere nel migliore club di Washington. Nel frattempo ci sono state la Seconda Guerra Mondiale e la Guerra di Corea, Cecil (Forest Withaker) si è sposato e ha avuto due figli, ma a quanto pare non ci riguarda. Nel 1957 un amministratore della Casa Bianca gli offre di entrare a far parte degli otto fidatissimi maggiordomi – tutti e otto neri - a diretto contatto con lo Studio Ovale: suo compito sarà servire ed essere cieco, sordo, muto e invisibile. E Cecil di servire farà una missione.
Dopodiché assistiamo alla più ridicola rassegna di caricature di Presidenti che nemmeno al Saturday Night Live: da Eisenhower (Robin Williams)a Reagan (Alan Rickman), passando per Kennedy (James Marsden), Johnson (Liev Schreiber) e Nixon (John Cusack)– Ford e Carter non pervenuti. Tutti con un orrido trucco da maschere di carnevale se ne stanno buoni buoni alla loro scrivania mentre il saggio Cecil di tanto in tanto trasgredisce all'ordine del silenzio e, insieme al vassoio del thé, offre perle di saggezza e preziosi consigli a quello che è, per il momento, l'uomo più potente della Terra: e i Presidenti passano, ma i maggiordomi restano.

La Storia scorre, ma per accorgercene davvero dobbiamo andare a casa di Cecil: la moglie Gloria (Oprah Winfrey)annega nell'alcool la delusione per un marito che pensa più al lavoro che alla famiglia, ed è a un pelo dal finire fra le braccia dello sciupafemmine del quartiere (Terrence Howard). Dei due figli il minore non dà problemi, è un ragazzino mite e malleabile, ma il maggiore, mandato con sacrificio all'università, si unisce ai nuovi movimenti per la liberazione dei neri. E qui vediamo Charlie (David Oyelowo)in una fantastica sfilata di moda anni '60-'70: modesto e dimesso al seguito di Martin Luther King, in abito scuro, camicia bianca, cravatta e cappello al seguito di Malcolm X, a petto nudo, gilet in pelle e capelli a cespuglio quando si unisce alle Pantere Nere – naturalmente con fidanzata en pendant. Entra ed esce di galera, per la disperazione del padre che non capisce le sue idee e finirà per cacciarlo di casa e rifiutarsi di vederlo per anni dopo che Charlie ha dato dello Zio Tom non solo a lui, ma anche al suo adorato Sidney Poitier. A pagargli le cauzioni saranno d'ora in poi due colleghi di Cecil (Cuba Gooding Jr. e Lenny Kravitz). In una tardiva riappacificazione Cecil si ritrova insieme al figlio chiuso in prigione dopo una manifestazione per la liberazione di Mandela; ma con fierezza lo vedrà anche eleggere deputato. Nel finale Cecil e Gloria, sul portico di prammatica, ormai novantenni ascoltano alla radio l'annuncio dell'elezione di Obama – evviva, evviva!



Il copione era in origine destinato a Denzel Washington, che si era interessato al progetto fin dal soggetto originale, un articolo del 2008 sul Washingthon Post dedicato ad un maggiordomo nero che servì alla Casa Bianca dal '57 all'86. Letta la stesura finale della sceneggiatura però se l'è data a gambe: è proprio questo infatti il problema fondamentale del film. Con tutti i buoni sceneggiatori di colore che girano i pollici in Usa – che almeno avrebbero avuto il background adatto - c'è da chiedersi cosa abbia spinto la produzione ad affidarsi ad un mediocre attore tv come Danny Strong (BUFFY, GILMORE GIRLS), autore fin'ora solo di alcune sceneggiature di satira televisiva. Se proprio si voleva optare per un ebreo newyorkese allora sarebbe stato meglio uno come Aaron Sorkin: ma lui non avrebbe certo voluto avere nulla a che fare con l'abituale melensaggine del regista Lee Daniels (imposto dopo una disputa legale), già autore del pietistico (e pietoso) PRECIOUS, che ci confeziona così questo compitino scipito, ipocrita e paternalista.
Questo film avrebbe dovuto essere un potente affresco sul passaggio epocale dei neri americani dalla segregazione, non più legale ma ancora formalmente in atto e passivamente subita, alla ribellione e alla definitiva autocoscienza come cittadini di pari diritti. Invece è una specie di riassunto per studenti pigri, inframmezzato da brevi spezzoni di servizi tv d'epoca, tutto talmente di corsa che in nessun modo riesce a dare un'idea chiara e realistica della Storia. Data la qualità e la lunghezza, 132 minuti, è paragonabile a certi sceneggiati tv in due puntate ad argomento pseudostorico in onda su Rai1.



Un dimagritissimo Forest Withaker è il serio e dignitoso Cecil, ma con i chili deve aver perso metà della sua grinta, in un personaggio che certo non resterà nella memoria. Altra protagonista assoluta la moglie Gloria di Oprah Winfrey: tornata al cinema dopo 15 anni di assenza, dà un'intepretazione convinta e appassionata. C'è però da chiedersi perché, se non nella scena finale, non invecchi di un giorno in tutti i 30 anni del percorso. Delle guest star – tutte così onorate di far parte del progetto da lavorare al minimo sindacale - si è già detto: non affezionatevi troppo, hanno tutte una parte dai 2 ai 5 minuti. E paradossale e fulminante è la presenza di “Hanoy JaneFonda nei panni di Nancy Reagan.
Si salva qualcosa? Certamente il montaggio: se avessero lasciato mano libera a Joe Klotz sicuramente tutto avrebbe acquistato in ritmo. Le scene migliori infatti sono quelle in cui si alternano vorticosamente inquadrature di pestaggi di studenti e argenterie su candide tovaglie di Fiandra di una cena di stato, e le ricostruzioni fedelissime di manifestazioni non violente contro la segregazione in bar e autobus si sovrappongono agli emozionanti filmati d'epoca. Quanto alla colonna sonora è decisamente piacevole, ma non ci voleva molto a metter su una playlist della Motown.

 

In definitiva fate una bella cosa: se volete imparare qualcosa sulla storia dei neri d'America leggetevi RADICI di Alex Haley, e se lo trovate in qualche biblioteca guardatevi il bellissimo sceneggiato tv che ne fu tratto nel 1977 – nemmeno da paragonare a questa insulsa e irritante minestrina.

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