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Power. Potere

Regia di Sidney Lumet vedi scheda film

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Ted_Bundy1979

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La recensione su Power. Potere

di Ted_Bundy1979
6 stelle

"Le persone ti vanno a votare non per le tue idee, ma per il tuo aspetto e per come sembri e ti proponi"

Richard Gere/Pete St. John

 

Tema e opera più che mai attuali di Sidney Lumet, quasi una continuazione dieci anni dopo di "Quinto potere" e di alcuni suoi personaggi poiché sempre del potere manipolatorio e di suggestione delle masse di gonzi da parte dei media, si parla. Qui nella fattispecie per la categoria degli "spin doctor", i "maghi" come detto nel film, creatori delle campagne elettorali per quel candidato o l'altro, a volte neppure dello stesso partito e in conflitto, seguendo diversi candidati in diversi Stati dell'Unione, e pure all'estero in un Paese latinoamericano sconvolto da attentati e terrorismo.

Quasi fantascienza nell'Italia del 1986 di quando uscì questo film. Oggi un'attualità superata persino dalla realtà delle campagne plasmate dall'A.I. dei computer e dei sondaggi onnipresenti.

Quantomai attuale e non banale come alcuni dicono, perché Lumet è sempre impareggiabilmente bravo(con la sceneggiatura di David Himmelstein), senza prendere parte per quel partito o l'altro come farebbero in un film italiano di sinistra(nel film non vengono mai neppure menzionati), nel mostrarti come i politici utilizzino qualunque scusa- e lo si è visto chiaramente durante il covid 1984-, per strumentalizzare ogni idea che non hanno ma solo abbracciano raccontando bugie, fare opposizione di facciata, ed essendo tutti fondamentalmente d'accordo cercare soltanto di avvicendarsi nell'occupare posti di potere e di enorme privilegio, per poi mettere il naso nella vita tua, e rovinartela.

E che quindi in pratica è meglio l'astensione e il boicottaggio perché tanto se li voti sanno sempre e solo tagliare e smantellare, stato sociale e sanità, e finanziare armamenti e industria, magari pure inquinante.

Esemplari in questo è meglio di tanti inutili saggi scritti da pennivendoli e soloni, le lezioni sul mestiere del "maestro" dei geni della campagne elettorali, Gene Hackman/Wilfred Buckley, che quasi al livello dei monologhi di Howard Beale/Peter Finch, e di Arthur Jensen/Ned Beatty, ti spiega al meglio come soltanto un gran baggiano può andare mai a votare per chicchessia, o soltanto per interesse, se nel suo piccolo o meno ha da fare "lobbysmo" per sè stesso.

Originale pure che il personaggio più negativo sia proprio un nero, il lobbysta in combutta con gli arabi del Golfo Persico, ricattatore e speculatore finanziario ed edilizio su ogni cosa possa fruttargli, Arnold Billing interpretato da Denzel Washington.

Richard Gere/Pete St.John, genio del suo mestiere e uomo di grande riuscita personale e appunto, potere, da modo di offrire forse l'interpretazione migliore in carriera di questo attore.

Anche la sua conversione finale, che poi è parziale e personalmente non ci perde niente, non è così campata in aria e irrealistica come molti osservatori hanno sempre rilevato. Il monologo finale dello stesso al candidato idealista Philip Arons(interpretato dal figlio di J.D. Salinger e non so se mi spiego, Matt "Capitan America", attore dotato che meritava maggiore visibilità), è un gran pezzo di recitazione-di tutti, pure di Hackman in scena-, e di regia da parte di Lumet.

Belle partecipazioni di Fritz Weaver il candidato ricco ma imbranato e non "mediatico" Wallace Furman, e di J.T. Walsh sempre efficace nelle parti di gelida carogna, il candidato più pericoloso e portatore di interessi sporchi, Jerome Cade.

Anche il finale non è poi così alleggerito e consolatorio sulla comunque efficacia del "sistema" nel riequilibrare certe pressioni di interessi industriali ed economici autoctoni e stranieri, e pare anzi di disincantata rassegnazione, solo parzialmente stemperata dall'ironia, e dal gentil sesso(l'ex moglie giornalista d'assalto Julie Christie), che tutto cura e allieva.

Grandi titoli di testa "percussionistici" e per "valvola di sfogo'', con la musica di Cy Coleman e Benny Goodman. Fotografia di Andzej Bartkowiak, e scenografie postmoderniste di Peter S.Larkin, William Barclay, Thomas C. Tonery, davvero di gran classe.

Gran topa una giovane e sboccata donna in carriera, vice in ufficio e supportatrice sessuale nella doccia di Gere, Kate Capshaw.

Beatrice Straight fu candidata ai Razzie Award un delitto, invece che all'Oscar per il suo ruolo minore e anche qui consimile, come accadde invece sempre per "Quinto potere".

 

Ted_Bundy1979

 

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