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Winter of Discontent

Regia di Ibrahim El-Batout vedi scheda film

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La recensione su Winter of Discontent

di OGM
8 stelle

Venezia 2012 – Orizzonti.  è sempre inverno quando Amr Nagy Islaim viene umiliato. Lo seguono, lo rapiscono, lo torturano. A segnare le tappe della sua avventura di dissidente sono i mesi di gennaio del 2008, del 2009, del 2011, durante i quali nel Paese dilaga un malcontento che, dai canali di stato, viene pubblicamente negato e segretamente represso. Amr vive al Cairo. Con lui abita l’anziana madre Amani, che è malata cronica, e che morirà aspettando il suo ritorno. Lo credeva ricoverato in ospedale, invece era rinchiuso in carcere, per motivi politici, come si dice. La voglia di cambiare ha una voce potente, che parte dall’energia delle nuove generazioni e viene moltiplicata all’infinito dalla rete telematica globale. Amr è giovane, e con i computer ci sa proprio fare. Continua a caricare video in internet, usando il telefono satellitare, anche quando, in conseguenza delle manifestazioni di Piazza Tahrir, insieme al coprifuoco scatta il blocco delle telecomunicazioni. Ma Amr non è il solo a non fermarsi. Sul versante opposto, resiste con tenacia anche l’apparato del giornalismo di regime, con quella trasmissione dal rassicurante nome di Cuore della nazione che continua ad andare in onda, anche quando tutti i cameramen, tranne uno, sono rimasti imbottigliati dalla folla e non hanno potuto raggiungere lo studio. In diretta viene diffusa una telefonata fasulla, apparentemente proveniente da un telespettatore, e volta a screditare i partecipanti alla protesta. Farah, l’assistente del conduttore Tamer, si accorge dell’inganno e, approfittando dell’interruzione pubblicitaria, abbandona il programma. La facciata comincia a mostrare le sue crepe. Dietro le urla ed i cortei, un sinistro meccanismo di propaganda  e di repressione si muove silenzioso, facendo, però, sempre più fatica ad imporsi. A manovrarlo sono pochi uomini, i soliti freddi mandanti e cinici esecutori, che rimangono invisibili a gestire trame che ormai mostrano la corda. Le sevizie medioevali, inflitte a migliaia di persone, nulla possono contro i milioni che affollano le strade e i social network, postando filmati e scambiandosi messaggi. La robusta base di questa rivoluzione è un’organizzazione capillare, che viaggia alla velocità della luce ed è difficile da controllare. Amr è uno dei principali artefici, e per questo viene preso di mira, con azioni che ormai sembrano più simboliche che altro. Quell’uomo è il classico genio isolato, che guarda il mondo attraverso il monitor,  e ne gestisce le immagini e le testimonianze dal suo appartamento. È un’attivista virtuale, che i mezzi tradizionali non riescono ad eliminare. È l’incarnazione di una rivolta che, pur diventando imponente e concreta tramite la massiccia presenza nelle piazze, è fondamentalmente impalpabile come il pensiero. Quella magia, infine, ha trionfato, nonostante i morti, i feriti, i corpi mutilati e le anime offese (371 persone hanno perso gli occhi, 27 donne sono state sottoposte alla prova della verginità, …). Il film di Ibrahim El Batout ci mostra, con un coraggio nobilitato dalla sobrietà estetica e dall’assenza di retorica, quegli angoli di ombra nei quali si prepara la battaglia della verità, combattuta con la violenza dai perdenti, e con la forza delle parole dai vincitori. La dinamica del conflitto in parte sfugge, in questa storia raccontata da una prospettiva costantemente limitata, ridotta alla dimensione dell’attimo catturato dallo sguardo individuale. Questa, d’altronde, è la giusta rappresentazione della realtà dei fatti,  perché, all’interno della popolazione, nessuno è in grado di capire cosa stia accadendo. Manca la visione d’insieme, e non solo per colpa della censura. Dietro le quinte, la guerra procede con strumenti non convenzionali, vivendo di una vita propria che contrappone, secondo un automatismo di stampo hegeliano, la tesi dell’nuovo all’antitesi del vecchio; lo schema è quello classico, ma stavolta la lotta è impari. La simmetria è rotta da un’anomala sproporzione, che però rimane fuori campo, come un’idea ancora troppo fresca per essere compresa fino in fondo.  È una formazione acerba, che non è ancora completamente uscita dal guscio, eppure produce grandi risultati. Un po’ come questo film, che tenta un approccio, prudente ma determinato, ad una materia storica ancora sospesa nell’aria, ancora lungi dal sedimentarsi come cronaca passata: un primo passo che squarcia il velo dell’ufficialità per aprire uno spiraglio verso la sostanza pulsante dell’umanità che combatte, spera e soffre. 

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