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Enzo Avitabile Music Life

Regia di Jonathan Demme vedi scheda film

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La recensione su Enzo Avitabile Music Life

di davidestanzione
6 stelle

Nel giorno 0 della 69ma Mostra d’arte cinematografica di Venezia, con il Concorso ancora in attesa di essere lanciato e il Lido che scalda i motori, fa breccia nel programma del festival, rigorosamente fuori concorso, uno dei più attesi tra i tanti documentari musicali della rassegna di quest’anno: “Enzo Avitabile Music Life”, atto d’amore in musica filmata che il regista americano Jonathan Demme ha cucito intorno al geniale musicista napoletano (piuttosto che “genio della musica napoletana”) Enzo Avitabile , in un andirivieni cullante e accogliente di sonorità (predominanti) e squarci familiari e umani (ben più limitati) relativi alla biografia, alla famiglia e alla personalità del polistrumentista partenopeo.

Il documentario musicale in quanto genere, va detto, è una tipologia filmica decisamente spinosa e molto spesso discutibile, a livello sia di intenzioni che di sintassi. L’agiografia finisce spesso con l’essere la soluzione più facile, il servizio più telefonato e accomodante. Il più delle volte anche i buoni registi finiscono con l’imbastire prodotti prevedibili, puri e semplici plaisir d’amour dell’ oggetto-soggetto in questione.

Qui Demme, forte della sua classe consueta e di un afflato decisamente sentito e viscerale, in parte evita simili insidie, ma a conti fatti non del tutto. Nonostante la dedizione nobilissima con cui il regista de “Il silenzio degli innocenti” e “Philadelphia” cuce addosso ad Avitabile la macchina da presa, sono ben pochi i momenti in cui l’anima del personaggio e la sua eccezionalità riescono ad emergere in tutta la loro portata; e guarda caso, tali momenti sono il più delle volte esclusivamente musicali: le esecuzioni strozzate di Avitabile, il suo cantato sperimentale e i suoi testi avvincono e catturano in se stessi l’attenzione anche dello spettatore più smaliziato e vergine, favorendo non poco la compenetrazione emozionale.

Nella sua ricerca di sé (“Chi so io, mi chiedevo, giustamente…”), giostrata tra lo spirituale, il colto (le lezioni da docente di musicologia offerte generosamente alla macchina da presa), il sacrale e l’elaborazione di un lutto, Avitabile vien fuori soprattutto attraverso i bagliori di profonda umanità che riversa nella sua musica, attraverso le scariche adrenaliniche di una sofferenza così marginale e così universale. Un dolore che fa da sostrato anche all’incursione nel tessuto filmico di immagini di repertorio di immigrati di colore ripresi a Napoli, connotate per altro di senso espressivo dall’ulteriore traslitterazione in dialetto napoletano che Avitabile compie del celeberrimo “I have a dream” di Martin Luther King, uno dei momenti in assoluto migliori del film.

La regia di Demme invece dal canto suo non è certo inappropriata, ma è anche priva di scarti registici degni di nota: molte inquadrature fisse e movimenti di macchina decisamente pennellati, laddove invece, soprattutto in molte scene musicali, ci si sarebbe potuti aspettare un tocco molto più energico ed elettrico che galvanizzasse le meravigliose esecuzioni della portentosa e assai assortita orchestra di Avitabile, dandogli corpo e forma ancora più emotivamente violente e contagiose per lo spettatore. Certi primi piani dialettici e demmiani fin nel midollo, qualche cenno d’intesa tra cantati e certi guizzi lucidi negli occhi profondi del professor Avitabile meritano comunque la visione, e il film è tutt’altro che “evitabile”, giusto per citare (e contemporaneamente sconfessare) una battuta che già da prima del film serpeggia(va) maliziosa e sghignazzata qui al Lido.

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