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Un castello in Italia

Regia di Valeria Bruni Tedeschi vedi scheda film

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La recensione su Un castello in Italia

di maghella
8 stelle

Faccio fatica a scrivere una opinione su questo film perché dovrei scindere due aspetti differenti che mi hanno colpito.

 

Il primo è quello riguardante la storia. Valeria Bruni Tedeschi racconta la sua storia, quella della sua famiglia, senza menzionare la sorella famosa, ma concentrandosi sulla figura del fratello e della madre.

Louise è una donna di 43 anni, vive a Parigi, ex attrice di discreto successo. La famiglia di Louise è ricca, proprietaria in passato di industrie di successo, sta ora vivendo un momento di crisi per problemi fiscali. Per questo motivo la madre, oramai vedova e anziana, vuole vendere il castello in Italia e alcuni quadri importanti. Il fratello Ludovic, malato terminale di AIDS, si rifiuta categoricamente alla vendita.

Questo un po' il quadro di presentazione, sul quale gira tutta una serie di rapporti famigliari molto complessi e profondi. Louise intanto vive una intensa storia d'amore con un giovane attore, dal quale cerca disperatamente di avere un figlio.

 

Se il film, se la storia, si fosse concentrata solamente su questo, ci sarebbe stato sicuramente tutto lo spazio per un lavoro dal risultato più che sufficiente, ma dal sapore dozzinale. Molto probabilmente la Bruni Tedeschi avrebbe anche potuto ottenere più pubblicità sfruttando la figura della più famosa sorella... ma per fortuna non l'ha fatto.

Si è invece concentrata sull'aspetto più personale, utilizzando un linguaggio narrativo a tratti grottesco, a tratti commovente, molto ironico e decisamente spietato. Spietato contro sé stessa soprattutto, e la sua famiglia.

 

Lo stretto nucleo famigliare, già privo della figura importante del padre, è legata da affetti stretti, da rapporti tanto intimi che risultano incomprensibili (e invisibili) a chi gira intorno ad esso.

Domestici, ex compagni di vita, amici, fidanzati non riescono a penetrare in quello che è un rapporto famigliare troppo unico e ad un solo senso. Tra fratello e sorella esiste una comunicazione talmente “loro”, che ad altri può apparire quasi oscena. I giochi dell'infanzia, i ricordi di una vita, la complicità negli affetti rendono “gli altri” estranei all'amore dei due fratelli.

 

Ma la brava regista riesce a non focalizzarsi solo sul rapporto con il fratello (e ci sarebbe stato tutto materiale per farci il film), non si risparmia dure critiche verso il suo “stato aristocratico” e privilegiato, utilizza molto l'ironia e in qualche caso anche l'aspetto simbolico per tracciare quelle che sono state le crisi vissute da lei e dalla sua famiglia.

 

Il secondo aspetto che mi ha colpita maggiormente è stato quello di come la Bruni Tedeschi sia arrivata a fare un film simile. Proprio l'ironia e l'uso del grottesco mi hanno convinta che la regista debba aver compiuto un lungo percorso di metabolizzazione del dolore per essere riuscita ad affrontare il tema della morte del fratello. Un fratello al quale era legatissima e che in questo film ha reso unico.

 

Solo chi è riuscito a superare una tragedia come quella narrata può riuscire a renderla leggera.

La personale elaborazione del lutto della regista, il suo volere a tutti i costi un figlio, mostrando tutto il suo egoismo nel forzare il proprio compagno per una inseminazione artificiale (che diventa poi comica per quanto tragica), la sua religiosità superstiziosa e quindi inutile ai fini di una comprensione per il proprio dolore, ma solo necessaria eventualmente ad eliminarlo... rendono la protagonista sincera, vera anche se grottesca. Ho trovato il film quindi quasi come una confidenza della regista sulla propria condizione, sulle sue fragilità.

Il finale è stato la parte più deludente. Preparato con meticolosità una quarantina di minuti prima, leva alla storia quel tocco di imprevedibilità e autenticità che aveva pervaso tutto il film.

 

Ottimi gli attori, più di tutti Marisa Borini nella parte della madre di Louise e vera mamma di Valeria Bruni Tedeschi... e questo rende il film ancora più commovente nelle parti dedicate al dolore che, come quasi sempre nella realtà, risultano grottesche e quasi assurde.

Filippo Timi mi piace sempre, anche se sempre sopra le righe.

Pippo Del Bono fa una piccola parte alla fine, e siccome non voglio fare spoiler non la menzionerò, ma mi ha commosso tantissimo, nonostante in una parte inusuale per lui.

 

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