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Paulette

Regia di Jérôme Enrico vedi scheda film

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La recensione su Paulette

di OGM
8 stelle

Nonna Paulette odia i négros e vende la droga. Eppure non sembra la classica vecchietta terribile. In fondo è solo una povera donna piena di rancore, per quegli immigrati che, esercitando quella che lei considera una concorrenza sleale, hanno danneggiato la sua attività commerciale. Il ristorante di cui era titolare insieme al marito rappresentava tutta la sua vita. Poi sono arrivati i cinesi, ed in quel momento, dice, che il suo Francis ha cominciato a bere, fino a morire. Una volta viveva in una villetta monofamiliare, adesso abita in un casermone di periferia, in mezzo a criminali di ogni genere. Ha scelto di chiudersi al mondo, ma quest’ultimo la viene comunque a cercare, nelle vesti di quel nipotino che non può vedere, perché ha la pelle color caffellatte. O del vicino vedovo che non perde occasione di tentare un approccio. O dell’ufficiale giudiziario che entra nel suo appartamento forzando la porta, per requisire tutti i suoi beni. In Paulette scatta quindi la voglia di riprendersi, con ogni mezzo, quello che le è stato tolto. Ed è allora che decide di mettersi al servizio di Vito, un piccolo boss del quartiere, che gestisce lo spaccio di hascisc. In quella nuova, singolare missione, Paulette non mancherà di investire la sua esperienza e la sua fantasia, rendendo onore alla sua fama di grande pasticciera. Il cambiamento, per lei, coincide con una svolta verso il male, ma gli eventi gireranno in suo favore, accompagnandola infine verso il riscatto personale e la riconquista di una solida posizione sociale. L’happy ending  della commedia, in questo caso, è il frutto sofferto dell’errore, che continua a produrre i suoi guai, fintanto che, una volta toccato il fondo, subentra la voglia di rinascere e ricominciare daccapo, riprendendo il discorso dolorosamente interrotto tanti anni prima.  Il presente si accantona per riscoprire un passato che, in realtà, non è mai veramente morto, dato che si presta ad essere resuscitato in ogni momento, sotto forma di una torta al cioccolato o di un cesto di dolcetti fatti in casa. La favola si adatta al mutare dei tempi, partecipando alle crisi e agli sbandamenti di un’epoca segnata dall’incertezza, ma senza con ciò perdere i suoi valori intramontabili. È solo una nebbiolina passeggera ad offuscarli, in un comprensibile attimo di smarrimento, mentre, sotto quella velatura grigia, i colori originali della felicità rimangono pur sempre visibili, diffondendo il confortante bagliore della speranza. I toni moderati di questo racconto - talmente equilibrati da farsi da parte, all’occorrenza, per dare spazio alla doverosa dose di realismo -  identificano nel giusto mezzo la vera dimensione morale dell’esistenza, in cui nulla è mai completamente (né irrimediabilmente) nero o bianco, e gli estremi non esistono, poiché a tutto c’è un limite. La stessa banlieue è, per costituzione, un universo dai confini ben precisi, nei quali anche il vizio e la delinquenza appaiono mitigati dalle debolezze di una visione provinciale. L’orizzonte ristretto può talvolta offrire un sicuro riparo all’anima e al cuore, impedendo che essi prendano il largo verso la totale indifferenza, quel luogo lontano in cui gli occhi non vedono. Intorno  a Paulette, tutti si conoscono, e spiano i reciproci movimenti, mantenendo il controllo della situazione. Lo fanno i malavitosi e le pettegole. Che sono persone qualunque, soggette a paure, riserve e mediocri tentazioni. Che hanno nonne e nipoti, o mogli e mariti da piangere al cimitero. Un manipolo di poveri diavoli si muove con rabbiosa goffaggine, seminando temporaneamente un caos agrodolce. E poi, con la stessa pittoresca ingenuità, si rimbocca le maniche per riparare i danni.

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