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Eylül

Regia di Cemil Agacikoglu vedi scheda film

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La recensione su Eylül

di OGM
8 stelle

Il settembre di Yusuf è il tramonto della gioia di vivere. Improvvisamente la sua esistenza si chiude, con lo stesso senso di soffocamento che da mesi colpisce la moglie Asli, affetta da non meglio precisati disturbi respiratori. Il suo petto è oppresso da un peso indefinibile, ora che l’affetto sembra essersi spento, e la quotidianità della vita a due è resa opaca dalla presenza di quel misterioso male. Tornare alle origini non serve: il paese natio della coppia, dove Yusuf e Asli vivevano da ragazzi, è ormai una realtà sfuggente, dalla quale tutti, in un modo o nell’altro, cercano di andare via: i vecchi si rifugiano nei ricordi dei bei tempi passati, i giovani aspirano a far fortuna altrove. La sicurezza svanisce tra le mani, come polvere gettata al vento. Anche la breve illusione di un sentimento nuovo, fresco ed alternativo – quello che Yusuf sente sbocciare per Elena – finisce per insabbiarsi nella solita inerzia delle situazioni sbagliate, che sono, purtroppo, le più restie a cambiare. L’esordio cinematografico del regista e sceneggiatore turco Cemil Agacikoglu è un convincente esempio di quel realismo languido che abbiamo apprezzato in Nuri Bilge Ceylan e in Semih Kaplanoglu, e che continua ad avere eredi tra gli autori dell’ultima generazione. Sotto il contegnoso velo del silenzio e della lentezza, l’intimismo è una dimensione implicita, rivelata fugacemente dalle occhiate,  rivolte ad un oggetto concreto, ma mentalmente indirizzate alle angosce del cuore.  Questa tribolata forma di alienazione affiora soprattutto dalle esitazioni, dalle sfumature dei gesti, apparentemente calmi e composti, eppure costantemente protesi ad indicare una sofferenza interiore. Il vuoto tra le persone raccoglie i pensieri inespressi, che si sedimentano mano a mano, aggiungendo strati di nuove suggestioni riguardanti il tema, inevitabile ed onnipresente, dell’incomunicabilità. Le parole – davvero poche quelle pronunciate in questo film – sono destinate a non incontrarsi, a restare inascoltate, oppure accolte con fastidio. Molte volte si dicono cose che non si dovrebbero, e che quasi sempre feriscono senza volere. Yusuf  si sente umiliato a morte quando Elena gli annuncia il suo ritorno da Namik, il suo fidanzato possessivo e violento,   e quando il suo amico d’infanzia gli parla dei suoi progetti imprenditoriali che lo porteranno, una volta per tutte, lontano dal villaggio.  La peggiore solitudine è accorgerti che tutti gli altri guardano altrove, verso un orizzonte dove per te non c’è posto. Quel luogo può essere deserto e melanconico, come l’universo della malattia, oppure morbosamente appassionato, come quello degli amori infelici, o ancora falsamente incantatore, come quello dei sogni di grandezza. Yusuf, di mestiere, è un orefice: un artigiano che crea i gioielli che altri potranno permettersi di comprare, di regalare, di usare come frivolo ornamento o come pegno sentimentale. A lui rimangono soltanto gli scarti delle retrovie: le disattenzioni di sua moglie, che pensa a sua madre e alla propria salute, il finto interesse di Elena, che, nel bisogno, lo usa e lo getta. Yusuf subisce, sulla propria pelle, l’egoismo del mondo, tipico di chi, più o meno consapevolmente, usa il proprio dolore come alibi per mettere in primo piano l’esigenze dell’io. Eylül è un film che si stringe, progressivamente, come un nodo alla gola, via via che Yusuf prende coscienza del mortificante ruolo che gli spetta: essere il bersaglio su cui puntano i tiri incrociati dei vari individualismi, e diventare per tutti un estraneo senza importanza.

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