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Hitchcock

Regia di Sacha Gervasi vedi scheda film

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La recensione su Hitchcock

di LorCio
5 stelle

L’anno scorso Marilyn ci portò dietro le quinte de Il principe e la ballerina, contaminando la cronaca della lavorazione del film con un raccontino di formazione di un giovanotto alle prese con cotanta diva. In attesa del making of romanzato di Cruising, ecco che uno dei generi più in voga del momento produce un altro esemplare, concentrando l’attenzione su Sir Alfred Hitchcok e Psycho. La fortuna del film sta più che altro nella sua breve durata, un’ora e mezza che fila via senza troppa fatica e con molta leggerezza. Forse troppa, considerando la maestosità del soggetto umano in campo. O forse no, forse la chiave giusta per affrontare un personaggio del genere sta nella sottrazione, nella modestia, nell’umiltà.

 

Sottrazione che non viene certo spontanea associare esteticamente alla performance di Anthony Hopkins, che recita con chili di trucco tali da renderlo assolutamente dissimile da Hitchcock ma al contempo abbastanza calato nella parte (lo sguardo languido, la pancia importante, l’assenza del sorriso), tanto eccessivo fuori (col rischio di finire come DiCaprio in J. Edgar) quanto minimalista dentro, pur in un contesto recitativo di puro gigionismo. È interessante questa recente tendenza del cinema biografico di voler isolare un determinato episodio della vita di un grande personaggio (specie del novecento) per tracciare un ritratto completo, come a voler fare intendere che sia utile una parte per il tutto. Non sempre sceneggiatori e registi trovano la quadra e The Queen e Il discorso del re restano modelli di riferimento (al contrario, A Royal Weekend o Marilyn non funzionano del tutto perché in qualche modo pretenziosi, pur avendo altre qualità).

 

Un film sulla lavorazione di Psycho diventa inevitabilmente un film sul suo regista, tale è la mole del personaggio, ma allo stesso tempo risulta quasi più interessante la rappresentazione dell’uomo rispetto alla sostanzialmente poco appassionante vicenda produttiva del film (e non è un caso che un personaggio molto intrigante come Anthony Perkins resti sullo sfondo e Vera Miles non sia scritta benissimo). La vera ragione di Hitchcock sta nella riqualificazione di Alma Reville, moglie del genio e parte integrante del genio perché responsabile, in vari modi, della creazione dei film del marito. La storia ci dice che, in verità, il rapporto tra i due era più complesso e lascia perplessi il finale riconciliante e quasi commovente, ma il riconoscimento ad Alma è sicuramente più importante rispetto alla realtà dei fatti (dopotutto è cinema).

 

Helen Mirren (più bella dell’originale) la interpreta in modo eccelso, calibrando tormenti e prove di forza, ripicche e patemi d’animo, conferendo alla sua piccola, grande donna un’aurea di eroina romantica dal pugno di ferro. Per il resto, il film non funziona nell’aspetto onirico (Hitchcock che parla con il serial killer da cui ha preso ispirazione l’autore del romanzo Psycho) e non illustra benissimo il bizzarro e perverso rapporto di Hitch con le sue bionde (roba trita e ritrita, ma qui non si capisce bene quale sia il problema dell’uomo al di là di alcune programmatiche confessioni). Allo stesso tempo, evita il museo delle cere pur in un ambito di raffinatissima tappezzeria d’epoca, la bella sequenza dell’accoltellamento nella doccia (con la stupenda Scarlett) e costruisce in maniera interessante le dinamiche relazionali tra Hitch ed Alma, cercando di non suscitare giudizi parziali nello spettatore.

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