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The Iceman

Regia di Ariel Vromen vedi scheda film

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La recensione su The Iceman

di davidestanzione
6 stelle

Ci sono film che sono bucano l'immaginario, film che sono buchi nell'acqua e film che tappano i buchi dei festival. A volerlo collocare a forza in questo bislacco sillogismo, "The Iceman" andrebbe ad occupare sicuramente la terza posizione: classica opera tagliata su misura per il fuori concorso, il film di Ariel Vromen si colloca idealmente nel cartellone della 69ma Mostra del Cinema di Venezia come il classico film non abbastanza per il concorso manon troppo per essere cestinato alla bell'e meglio. Sembra, a voler calcare la mano sull'arte del sospetto, una concessione generosa dell'aurea Toronto al meno sfavillante (escluviamente in termini di nomi) festival di Venezia. Newell, Ozon, Zombie o Hoffman no (sempre che Barbera li abbia davvero cercati o voluti), nè tantomeno Cianfrance e Gosling col loro "The place beyond the pines".
Dal Canada si limitano piuttosto a condividere il film di Ariel Vromen, un autoretto con un cast di richiamo dalla sua che possa offrire anche un minimo sindacale di divismo decaduto o giù di lì alle passerelle del festival e a qualche conferenza stampa. Della serie: "Prendetevi questo che è il massimo che possiamo darvi e ringraziateci pure".
"The iceman" è la storia vera di Richard Kuklinski, uomo come tanti all'apparenze, anche se gelido e inquietante nei modi e nell'aspetto, che in realtà fu anche e soprattutto uno spietato killer che tra il 1954 e il 1985 assassinò più di 250 persone. Il film racconta la genesi della sua anima nera, dai primi scatti d'ira che prorompono in corse forsennate e vendicative in auto con tutta la famiglia a bordo fino agli omicidi, secchi e lucidi come lampi nella notte, così efferati e sanguinari da fargli meritare il nome, lui che ha anche origini polacche, di "uomo di ghiaccio".

La materia trattata sarebbe stata anche un'ottima base per un fosco noir d'anime nere e perdute, ma di fatto il film è molto meno e si limita ad ostentare orgogliosamente la sua deliberata medietà. Vromen la vira sul gangster movie e porta a casa un film decisamente onesto, pochissimo ambizioso, guardabilissimo ma senza grossi né rilevanti scarti. La genesi della personalità omicida del protagonista è approcciata in modo svogliato e qualsiasi densità è lasciata preventivamente da parte. Ma d'altronde, di un b-movie dall'estetica inevitabilmente di rimando stiamo parlando ed è pertanto anche fuori luogo forzare il film navigando alla ricerca di ciò che fin dalle premesse esso non è. 

Kuklinski uccide un accattone per guadagnarsi la stima di un uomo di malaffare, quello è il suo viatico. Da quel momento, le sue consuete dinamiche familiari vanno in frantumi. La moglie con la quale prima faceva normalmente l'amore adesso è anch'ella preda dei suoi improvvisi e furibondi attacchi d'ira, come tutti d'altronde, nessuno escluso. Il killer spietato o comunque l'individuo disturbato comincia pian piano a baluginare a chiarissime lettere sotto la maschera normalizzante del quotidiano ordinario, e da ciò il film trae la sua pur modesta forza propulsiva. Dopo l'inseguimento in auto, il film parzialmente svolta dopo una prima parte meno virata sulla dissezione realistica e sulla violenza grafica.

L'estetica gelida e livida scelta da Vromen, con una bella fotografia virata sul nero e sull'ambrato, a quel punto comincia a somigliare sempre più a uno Scorsese di second'ordine. A tal proposito ci sono richiami espliciti, quasi smaccati che assecondano sempre più l'idea del compitino buttato giù con discreta vena calligrafica e pochissime pretese: le informazioni passate durante una proiezione in un cinema porno (scena para para da "The Departed"), il campo sulle automobili che allargandosi progressivamente, perfino qualche a questo punto inevitabile scelta musicale d'ambiente.

A tratti visivamente sembra anche un film di James Gray trapiantato di gran carriera negli anni '70, ma con molta meno classe e moltissima meno sostanzialità e implacabilità nella messa in scena. Tant'è che "The iceman", stringi stringi, finisce con l'essere il classico Shannon-movie: l'ormai lanciato e quasi inimitabile interprete di "Revolutionary Road" e "Take Shelter" scolpisce nella sua mimica da psicopatico proteiforme e nel suo azzeccatissimo physique du role i lampi mortiferi di un personaggio perfettamente nelle sue corde, interpretative ma anche e soprattutto mimiche. Il film lo regge tutto sulle sue spalle, lo apre e lo chiude con due memorabili primi piani "barbuti" dalla galera che oltre a dare al film una compatta e scolastica struttura ad anello costituiscono anche la summa esistenziale e morale del personaggio. Il prefinale azzarda una maggiore contrizione lirica con musiche un tantinello magniloquenti ma il film sostanzialmente non esce mai dalla solita gabbi, pur risultando un discreto e accettabile prodotto nudo e crudo, così come lo vedi, per una volta senz'apparenze o implicazioni recondite e sottotestuali da celare.
Al sempre calzantissimo Shannon fanno da contorno una Winona Ryder che porta a casa di mestiere il personaggetto della moglie di Kuklinski senza risultare mai nè brava nè tantomeno troppo in parte e due caratteristi improvvisati e d'occasione come James Franco, che dura anche meno che nello scultone "Come un urugano", Stephen Dorff e Chris Evans (per una volta l'hanno fatto recitare, anche se per tre minuti).


voto 2.5

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