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C'era una volta a New York

Regia di James Gray vedi scheda film

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La recensione su C'era una volta a New York

di laulilla
8 stelle

Non solo ricostruzione precisa delle circostanze storiche e delle relazioni di dominio che si delineavano fra chi poteva decidere della vita altrui e la folla dei diseredati, pronti a tutto, arrivati a New York dall'Europa orientale negli anni '20 per cambiare la propria vita.

 

C’era una volta e c’è tuttora, a sud est di Manhattan, di fronte a  Lady Liberty, Ellis Island, altra isola, il cui nome è sinistramente legato alle migrazioni verso gli Stati Uniti: lì sbarcavano, infatti, gli sventurati che speravano di lasciarsi alle spalle miseria e persecuzioni, sedotti dal sogno americano, nel grande “paese delle opportunità”.

Come è ben raccontato all’inizio di questo film, Ellis Island era organizzata per sottoporre a spietata selezione i nuovi arrivati: medici e agenti federali si affiancavano, nell’edificio, diventato in seguito Museo dell’immigrazione, per accertare se essi fossero da espellere in quanto portatori di malattie contagiose, o da respingere, rinviandoli ai luoghi d’origine, se per caso si fossero ribellati al loro arbitrio, perciò stesso sospettabili di simpatie rivoluzionarie e sovversive.


Qui erano giunte, intorno agli anni ’20, due sorelle polacche, Ewa (Marion Cotillard) e Magda (Angela Sarafyan), nell’intento di sottrarsi alle discriminazioni alle persecuzioni e alle vendette che, dopo la prima guerra mondiale, continuavano ad affliggere le popolazioni dell’Europa orientale. Le due giovani, rimaste orfane e molto legate, si erano sostenute a vicenda durante il viaggio confidando, vanamente, nell’accoglienza generosa di una zia che a New York si era sposata e lì da tempo risiedeva.

Nella città, però, solo Ewa era entrata, poiché Magda, tradita da un colpo di tosse e sottoposta a immediati accertamenti, dapprima minacciata di espulsione, era stata forzatamente ricoverata in ospedale per curare la tubercolosi da cui era affetta.
Su questo sfondo agisce, mescolandosi ai migranti e cercando di non dar troppo nell’occhio, Bruno Weiss (Joaquin Phoenix), giovanotto ebreo e polacco a sua volta, che nel corso del racconto assumerà un ruolo sempre più importante. Egli era arrivato a New York assai prima delle due sorelle e aveva trovato la propria fortuna gestendo un equivoco cabaret, con i suoi spettacolini sgangherati e volgari in cui si esibivano, in uno sguaiato balletto, un po’ di ragazze polacche, pronte a prostituirsi, in cambio di un letto e del cibo, cui egli stesso provvedeva, grazie ai turpi guadagni dell’amore a pagamento.


Bruno, dunque, era un pappone, alla caccia di fanciulle belle e sventurate cui offrire “lavoro” e casa. Egli, tuttavia, era rimasto molto colpito dalla bellezza fine e delicata di Ewa, di cui, a poco a poco, si era innamorato davvero, tanto che era sinceramente disposto ad aiutarla per far uscire Magda dall’ospedale. Non era, però, disposto a rinunciare ai proventi che dalla sua esibizione e prostituzione gli arrivavano, neppure davanti alla riluttanza disperata di lei.

 

 

 

Nella pellicola, è presente un altro personaggio, il cugino Orlando (Jeremy Renner), fantasista e istrionico prestigiatore, a sua volta attratto della bella Ewa e intenzionato a sottrarla a Bruno, ciò che diventa la premessa melodrammatica degli sviluppi della storia, poiché i due rivali, non essendo – come appare chiaro – veri gentiluomini oxfordiani, si affronteranno a suon di botte, di coltellate e anche di pistolettate. Il film, pertanto, ha un aspetto violento con tanto di sangue, ferite, ossa rotte,  e sembra un po’ spiazzante a chi  attendeva una diversa piega della vicenda, in coerenza con gli aspetti malinconici dell’inizio della storia, sottolineata anche dalla bella fotografia appositamente ambrata, ingiallita e sbiadita.

Questo spiega anche il diverso giudizio critico sul film, presentato a Cannes, e poco apprezzato, ingiustamente, forse.

La seconda visione, in streaming, possibile a tutti, in questi giorni, chiarisce che la violenza è presente in tutto il film, perché la storia delle migrazioni verso gli Stati Uniti è una storia lacerante di ferite e di dolori, di spietatezze in vista di lucrosi guadagni, di esseri umani calpestati nella loro dignità.

È l'eterna tragedia dei migranti, vero titolo del film che non è affatto una favola come lascerebbe intendere il titolo italiano dissennato e fuorviante.

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