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The Wall

Regia di Julian Pölsler vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Wall

di hupp2000
3 stelle

Buonismo, moralismo, luoghi comuni a non finire in un film che di naturale ha solo l'ambientazione in una foresta austriaca. Un solo personaggio, saccente e presuntuoso, con voce fuori campo per un'ora e tre quarti. Irritante.

Essendo “Robinson Crusoe” il romanzo che ho amato maggiormente da bambino e avendo un debole per il genere “fantasy” in materia di cinema, mi sono accostato a questo film austro-tedesco con curiosità e disponibilità d’animo. Nel giro di pochi minuti, però, la delusione ha cominciato a far capolino per poi trasformarsi in noia interrotta qua e là da fragorose risate per la totale inverosimiglianza delle situazioni mostrate.

 

Come per le fiabe e i film di pura fantasia, il punto di partenza, per quanto assurdo possa essere, si accetta benevolmente. In questo caso, ci troviamo in una foresta austriaca dove una donna resta isolata dal resto del mondo a causa di un muro invisibile e invalicabile. Ne seguiremo le vicissitudini per due lunghi anni attraverso la lettura con voce fuori campo di un diario giornaliero al quale sono consegnati eventi, incontri con animali, espedienti utilizzati per sopravvivere, riflessioni sulla vita e la morte, pillole di presunta saggezza e tanto (ma proprio tanto) moralismo. Non sapremo mai da dove provenga la protagonista, quale sia il suo passato, non ne conosceremo neppurre il nome, ma spero sinceramente che non si trattasse di un’insegnante di filosofia o, peggio ancora, di una madre. All’opposto di Socrate, questa signora sa di sapere tutto e ce lo spiega attraverso il racconto della sua progressiva illuminazione.

 

 A parer mio, l’elemento fantasioso della vicenda non è costituito tanto dall’improvvisa comparsa del muro invisibile che reclude la donna, quanto dall’assurdità degli espedienti che la stessa adotta per sopravvivere. Si comincia con l’adozione di una mucca che passava da quelle parti, unico caso di bovina carica di latte svariati mesi prima di partorire. La nascita del vitellino, poi, ha dell’incredibile. Il piccolo si presenta in maniera perfetta, testa in avanti tra le zampe anteriori. E la nostra cosa fa? Si affretta a legare gli arti con una corda e si mette a tirare come un’ossessa, rischiando di lacerare il tutto e facendo urlare la povera vacca. Come avrebbe fatto Madre Natura senza il suo intervento? Non finisce qui. Hai una mucca, ti serve del fieno. Bene. Allora, mano alla falce fienaria. Trent’anni orsono, mi ci vollero mesi per imparare ad utilizzarla correttamente. La nostra eroina, no. Cittadina fino a pochi giorni prima, ha evidentemente la tecnica innata. Solo che sbaglia falce! Per tagliare in piano utilizza il manico da pendio, lavorando con la schiena piegata a 90 gradi. “Mi ci vollero tre settimane per mietere il fieno”, ci racconta con la solita voce fuori campo. Secondo me, in quel modo non avrebbe retto più di mezz’ora. Ammettiamo poi che, trovandoci in una foresta, la legna necessaria per scaldarsi nei mesi freddi non manchi. D’accordo, ma ce ne vuole tanta, bisogna abbattere alberi, ripulirli, spezzarli e accatastare il tutto. Orbene, la nostra eroina dispone di cataste enormi, dal taglio inequivocabilmente ottenuto con una motosega (anch’essa invisibile, suppongo), ma non appare un solo fotogramma in cui la si veda al lavoro. Chi vive in campagna senza riscaldamento sa che il rifornimento di legna richiede settimane di durissimo lavoro. No, la nostra non se ne cura! La legna c’è e basta. Madame ha tutto il tempo di ansarsene in giro con un paio di fucili da caccia a tracolla (perché due? E dove ha trovato cartucce sufficienti per due anni?) ad abbattere selvaggina per poi sentirsi in colpa per gli efferati delitti di cui si è macchiata. D’altronde, è l’intero suo rapporto con il mondo animale ad essere complicatissimo quanto illogico. Il cane, un paio di gatti, una mucca e ad un certo punto persino una cornacchia bianca sono buoni, sono pieni di sentimenti umani, ci si può parlare e loro capiscono. Lepri, cerbiatti e cacciagione varia vanno abbattuti, ma con tanto rimorso e chiedendo scusa non si sa bene a chi. Il clou dell’antropomorfizzazione giunge nel momento in cui una volpe fa fuori uno dei gatti. Pochi giorni dopo, la donna la soprende isolata in riva ad un torrente. Punta il fucile, sta per sparare. Perché? Forse per evitare altri incidenti. Macché! Alla cara volpe si tiene un discorso di profonda filosofia sulla sua natura, sul suo destino così simile a quello umano e sul “chi sono io per ucciderti?”. Nel finale, raggiungiamo l’apice del nonsenso. Come per miracolo e non si sa come né da dove, compare un omaccione che non vediamo in volto e che si accanisce violentemente contro la mucca e il gatto. Cosa fa la nostra? Gli scarica addosso una fucilata a bruciapelo. Sì! Lo ammazza (come un cane mi verrebbe da dire, ma è scorretto) e scaraventa il corpo in un burrone. Il gatto, per contro, ha diritto ad un’onorata sepoltura, con tanto di discorso funebre.

 

Un film digeribile solo da cittadini molto, ma molto, ingenui…

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