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Home for the Weekend

Regia di Hans-Christian Schmid vedi scheda film

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La recensione su Home for the Weekend

di OGM
8 stelle

Was bleibt. Quel che rimane. Quello che non svanisce quando si molla la presa. Il titolo originale tedesco è un punto interrogativo sospeso su una storia fatta di fili sciolti. Una famiglia si riunisce e si scopre disperatamente divisa. Specchiandosi uno nell’altro, genitori e figli, mariti e mogli, si accorgono di non conoscersi affatto, e di non essersi mai capiti. La sincerità, soprattutto, è venuta a mancare, in tanti anni trascorsi insieme. E adesso sembra troppo tardi per recuperare il tempo perduto. Tutti hanno creduto nei progetti sbagliati, imboccando strade che non hanno portato a nulla. Marko ha investito nel matrimonio con Tine, che è entrato in crisi. Suo fratello Jakob si è fatto prestare i soldi dal padre, per costruire una casa ed uno studio da dentista che è frequentato da pochissimi pazienti. L’anziano Günter ha fatto di tutto per conservare il rapporto con la moglie Gitte, da sempre malata di depressione, ma sa di avere fallito. E Gitte, a sua volta, ha riposto eccessiva fiducia nella disponibilità, da parte dei suoi cari, di trattarla come una persona matura, forte e responsabile,  sostenendola nelle scelte da lei effettuate in piena autonomia. L’illusione crolla, improvvisamente, in occasione di quella che avrebbe dovuto essere una festa per celebrare una svolta importante, avvenuta nella vita di lei: essendosi sottoposta ad una pratica terapeutica alternativa, da due mesi la donna non assume più le solite pillole.  Quella inattesa rottura di una consuetudine ormai trentennale, annunciata durante un pasto comune in giardino, basta a gettare nel panico suo marito ed i suoi  figli. Tutti temono che, avendo sospeso la cura farmacologica, il suo stato mentale possa subire conseguenze imprevedibili. Questa paura apre una crepa nella generale finzione di felicità, di successo, di stabilità che avrebbe dovuto costituire il copione di uno spensierato weekend in campagna.  E, attraverso quella fessura, la verità irrompe nella scena, portandovi lo scompiglio. Ma non si tratta di uno scandalo alla Festen, di rivelazioni turpi, di sentimenti brutalmente uccisi. Lo sgomento è provocato dall’impulso, subitaneo e incontenibile, che spinge ognuno a togliersi la  maschera e cedere alla propria fragilità. I presunti legami d’affetto non reggono a tanto,  così scattano accuse e confessioni, ed il mondo assume d’un tratto un aspetto sinistro. La farsa si disperde in lacrime e alcool, e nulla potrà più essere come prima. Questo, però, non è il punto di arrivo. Non è l’atto conclusivo di una bella storia  finita nel peggiore dei modi. E non è nemmeno un nuovo inizio; è, piuttosto, un’interruzione della normalità, l’avvento di un dubbio surreale, che introduce, nella vita, una discontinuità ineliminabile. Qualcosa di fondamentale sparirà: una presenza, una certezza, una tranquillità della coscienza. I superstiti dovranno adattarsi a girare intorno a quel vuoto, che restringe lo spazio vitale e, per fortuna, anche il margine per formulare ipotesi azzardate e coltivare inutili speranze. Scavare nel segreto smuove il terreno in maniera fatale, e le zolle restano sparse. Ad esse non rimane che rassegnarsi alla propria condizione di residui, di macerie, di frammenti di un ricordo impastato nella materia friabile dei sogni.

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