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Anna Karenina

Regia di Joe Wright vedi scheda film

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La recensione su Anna Karenina

di supadany
8 stelle

Preferisco i rimorsi ai rimpianti

 

Di versioni di “Anna Karenina” al cinema se ne sono viste a bizzeffe, un’altra speculare non avrebbe portato molto lontano, ma fortunamente Joe Wright non si limita ad una semplice riedizione, anzi da sfoggio di un’inventiva notevole e per certi versi anche inattesa, lavora di fantasia nella forma, richiama il teatro e sa guardare nel piccolo (il cuore e la pulsione) così come nel grande (il quadro d’insieme) sempre con grande autorità.

Anna (Keira Knightley) è su un treno direzione Mosca per salvare il matrimonio del fratello donnaiolo quando incrocia Aleksej (Aaron Taylor-Johnson) che si innamora instantaneamente di lei.

Per entrambi, e per i loro affetti, tra un marito (Jude Law) alto funzionario dello Zar ed una giovane innamorata, cambia tutto, prima nell’ombra poi pian piano alla luce del giorno.

Un vero sconquasso per la compassata società russa di fine Ottocento con destini incerti per tutti i protagonisti, carnefici e vittime che siano di questo amore.

 

 

Difficile aggiungere sfumature ad una storia raccontata, e quindi vista (se non anche letta), più volte, ma Joe Wright fa un bel passo in là, coadiuvato da Tom Stoppard, non proprio l’ultimo arrivato, che ha riadattato un testo di 600 pagine in 120 di sceneggiatura.

Un lavoro che va, fortunatamente, oltre, osa formalmente, che rimane il principale “di più” non solo circostanziale, e sa far palpitare il cuore a svariate latitudini sfruttando il testo con più punti di vista su ciò che era, ed è, l’amore.

Un amore che sa essere impudente, la traccia principale, ma anche pudico e vecchio stampo, tra chi ama col cuore e chi ama con la mente, tra chi crede nell’amore assoluto e chi nella passione più sfrenata.

Un vero e proprio armamentario in materia che esplode ed implode, per un’epica storia d’amore dai lunghi orizzonti, ma poi è l’impostazione teatrale, quella del teatro dei burattini tanto cara a Joe Wright, che da una sferzata aggiuntiva, vera linea di demarcazione di questa riedizione che in tal modo assume connotati maggiormente salienti.

Un teatro che racchiude un mondo, ma che va anche d’accordo con la storia stessa, con invenzioni in serie, il che presuppone il rischio di essere stucchevoli (a qualcuno è capitato di recepirla così), ma che personalmente ho trovato essere una connotazione frutto di un talento capace di uno sguardo non solo personale, ma principalmente vicino all’essere geniale, in grado di far danzare i suoi personaggi in un quadro d’insieme variopinto.

Così vediamo rappresentata la società russa ai tempi degli Zar, tra pensieri, costumi e modi d’epoca, mentre gli interpreti trovano giovamento da questa costituzione di forma, superando anche i propri limiti.

Ad esempio Keira Knightley viene chiamata ad uscire dal suo cono di algida leziosità, Jude Law diventa di ghiaccio lasciando altrove il suo lato più glamour, Aaron Taylor-Johnson appare più uomo di quanto di solito non appaia, Domhnam Gleeson rappresenta l’abnegazione all’amore più genuino e Alicia Vikander, sempre più brava e lanciata, è un giglio da cogliere al volo.

Tutto ciò da vita ad un’opera che formalmente scavalca i vincoli del classico e che sa generare una gamma nutrita di variazioni in ambito sentimentale, incidendole nel marmo, tanto da farle sgorgare apertamente senza frapporre limiti, nel bene e nel male, che rimangono poi confini opinabili a seconda della sensibilità di ognuno di noi.

Ricchissimo.

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