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A Little Closer

Regia di Matthew Petock vedi scheda film

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La recensione su A Little Closer

di OGM
8 stelle

Stammi vicino. Ma non troppo. Perché cercarsi è pericoloso, e volersi bene fa male. Qualcosa ci spinge, l’uno verso l’altro, ed è questo il guaio. Per capirlo, non è necessario girare il mondo. Basta guardare intorno a sé. Tutto accade anche all’interno di una piccola famiglia, formata da una giovane madre e da due ragazzini, Mark e Steven. Una donna sola, che ha bisogno di un uomo, e non riesce a trovarlo, almeno non quello che la ami nel modo giusto. Un adolescente che vorrebbe conoscere l’amore, ma è tradito dall’inesperienza. Un bambino che si offre di aiutare il fratello maggiore, e si ferisce gravemente. Questa è una storia del tutto normale, ed è fatta di niente. È plasmata nel nulla senza speranza che avvolge la provincia americana, dove l’impresa più dura ed umiliante è provare a rassegnarsi alla mancanza di prospettive. L’istinto di sopravvivenza induce a continuare ad avere fiducia nel futuro, e nella possibilità che la situazione possa migliorare. Eppure tutti sono circondati dalla meschinità, dall’inganno, dalla superficialità di rapporti che si lasciano contagiare dalla generale miopia. Difficile è, più di ogni cosa, imparare a desiderare solo ciò che è lecito e possibile ottenere. Inutile perdersi dietro una donna irraggiungibile, come uno scolaro che si invaghisce della maestra. Ed è immorale puntare soltanto ad avere, senza essere disposti a dare alcunché, nemmeno un po’ di sensibilità e comprensione: la verginità non si può barattare con un anello rubato. Forse l’errore è porsi degli obiettivi, formulare delle strategie, mettere in pratica dei piani di conquista: nessuno ha la pazienza di aspettare che gli eventi accadano. Tutti sono frettolosi, nel bene e nel male. Soprattutto i giovani, per fuggire dalla noia, o per dare sfogo ai loto impulsi. Non appena cessano il dovere oppure la necessità, viene naturale lasciarsi andare, lanciandosi all’inseguimento di una felicità che non appartiene a questo mondo.  Quando non si corre, irrazionalmente, verso un miraggio sbagliato, si tace, si perde tempo, si parla a vanvera, spesso in maniera irrispettosa o insincera. Intanto si intrecciano, a caso, utopie individuali, ma non si arriva a dare forma ad una trama: il racconto è una successione di frammenti inconclusi, di pause di incertezza che congelano la tensione, preparando deludenti accelerazioni verso una prevedibile rovina. In una vita impastata nel fallimento, inadeguati sono i personaggi, oppure lo è la stessa realtà, che si oppone cinicamente ai loro sforzi ed è impietosa nei confronti delle loro debolezze. Il film di Matthew Petock apre l’interrogativo con la morbidezza di un indugio che suona come il riserbo tipico dell’indulgenza: uno sguardo che partecipa alla sofferenza umana, individua le colpe che le fanno da contorno, però si astiene dal condannarle. Tutto è già visto, tutto è perfettamente noto, ma si ripresenta, ai nostri occhi, con l’amara freschezza delle scoperte di gioventù: quelle che ci mostrano la verità dell’esistenza attraverso le sconfitte dolorose che suggellano le nostre più incaute avventure.

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