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Abu, Son of Adam

Regia di Salim Ahamed vedi scheda film

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La recensione su Abu, Son of Adam

di OGM
8 stelle

Vendersi i frutti del lavoro di tutta una vita per un sogno di fede. Il candidato indiano al premio Oscar 2012 per il migliore film straniero è la storia dell’anziano Abu, un venditore ambulante di profumi e libri sacri. Questi, con la moglie Aisu, sta per affrontare l’esperienza che, per un musulmano, è il culmine della vita religiosa: tra pochi giorni i due coniugi saranno hajj, pellegrini alla Mecca. L’uomo, per potersi permettere il viaggio, ha risparmiato scrupolosamente, nonostante, negli ultimi tempi, gli affari avessero cominciato ad andare male. Per completare la cifra necessaria, i due coniugi si trovano comunque costretti a compiere ulteriori sacrifici, e rinunce anche molto dolorose. Questo racconto sembra fatto di niente, forse perché la povertà è per definizione disadorna, così come lo è il linguaggio delle persone poco istruite; ma il motivo principale dell’aspetto spoglio e logoro di quest’opera è da ricercare in quella rettitudine, profondamente nobile e totalmente inflessibile, che impedisce ai protagonisti di questa drammatica vicenda di abbandonarsi al pathos, ossia alla manifestazione di un lamento che chiede, per sé, l’attenzione di un pubblico. Abu possiede un fortissimo senso della dignità, in virtù della quale non domanda mai aiuto, né lo accetta quando questo gli viene offerto. Il figlio Sattar si è allontanato da casa diversi anni prima e, dopo aver fatto fortuna a Dubai, si è completamente dimenticato dei suoi genitori. Quel giovane sarebbe l’unico a poter legittimamente provvedere ai bisogni materiali del padre – perché, secondo la legge coranica, non è halal prendere denaro da persone non consanguinee - eppure Abu si attiene strettamente a quel precetto, anche nei confronti degli amici che gli vengono spontaneamente incontro, sotto la spinta di un sincero affetto fraterno. Il destino è, per lui, un sentiero che intende percorrere con le proprie gambe, benché sia ormai in età avanzata, stanco e probabilmente malato. Semplicità, mansuetudine e lentezza trasformano il suo arrancare in un itinerario poetico attraverso i casi della vita, le cui tappe sono altrettante prove di distacco dai beni terreni e costituiscono, nella sua mente, un passaggio preliminare al processo di purificazione che si perfezionerà una volta che sarà giunto in quel luogo sacro, da cui si ritorna rinati, come bambini che abbiano appena visto la luce. Abu e Aisu, con grazia, si spogliano progressivamente di ogni cosa, tranne che della loro integrità morale e dell’amore che li lega. Assecondano pacificamente la volontà di Dio e, all’occorrenza, anche quella sbagliata degli uomini, quando i venali interessi di questi ultimi incrociano la strada che sta per portarli alla meta tanto sospirata. La lezione gandhiana della non violenza rivela qui il suo carattere di insegnamento universale, il quale trascende le barriere religiose, per trovare applicazione in un esempio di Islam che interpreta l’obbedienza come massimo rigore con se stessi e piena indulgenza verso gli altri. Abu non transige, non cede alla tentazione nemmeno quando ciò potrebbe salvarlo in extremis da una situazione umiliante e disperata. Non piegarsi mai diventa, così, una morbida eleganza formale, che accarezza i singoli eventi, comprese le avversità più dure, con la paziente saggezza di chi lascia correre, perché è costantemente intento a guardare oltre. Gli occhi di Abu sono grandi e pieni di una luminosità che sembra poter rischiarare la notte: infatti il buio, intorno a lui, non è mai totale, perché è sempre impregnato di un’incandescenza blu, o dorata, o striata di fuoco, in cui rimangono tracce vive degli intensi colori del giorno. L’oscurità è animata da una presenza vigile, come l’insonne Abu, e come l’anima del defunto Ustad, il veggente venerato da tutti, perché considerato un profeta. Restare svegli significa non mollare mai, perché l’eternità è un valore assoluto che non fa sconti, e che si guadagna seguendo, sulla Terra, regole prive di eccezioni. Mai la severità è apparsa tanto dolce e struggente quanto in questo film, dalla sostanza aspra e ruvida come il disagio vissuto nella solitudine, però accesa, interiormente, da una fiamma che resiste al vento, e che incessantemente crede, a dispetto del buonsenso, e dell’inesorabile corsa del tempo che non ci concede proroghe.

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