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Venuto al mondo

Regia di Sergio Castellitto vedi scheda film

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La recensione su Venuto al mondo

di lorenzodg
4 stelle

Venuto al mondo” (2012) è il quarto lungometraggio dell’attore-regista romano Sergio Castellitto.
   Difficile parlare di un film che è risultato ‘indigesto’ allo spettatore che si è posto in sala con tutte le buone intenzioni soprattutto per ‘conoscere’ meglio il gusto registico e le congiunzioni di mondi (culturali) fuori da una coppia affiatata anche nella vita. Il romanzo della Mazzantini è sicuramente un giusto appiglio per una sceneggiatura (dei coniugi) da riportare e rappresentare sul grande schermo bianco. Ma le buone intenzioni si perdono finanche prima di iniziare e il piglio narrativo si perde e si invaghisce della deriva delle sovrapposizioni e di cumuli infarciti da luoghi comuni e da assecondazioni di fausti toponimi.
   Un  rigurgito di cinema mitteleuropeo c’era da sperare meglio, sicuramente sì e per meglio farci capire la pellicola ha avuto ‘riconoscimenti culturali’ per un congruo finanziamento con appoggi di vari enti, citcuiti televisivi e giunte regionali. Insomma che si ‘doveva’ fare ma che giunge in modo ‘posticcio’ alla visione dell’appassionato che senza nulla togliere vede l’orologio in modo compulsivo e continuativo per uscire da una pellicola ordinaria, melensa e, soprattutto, sfocata nei gesti e nei resoconti interiori. Tutto o quasi risaputo, vecchiotto e per nulla capzioso (nel tentativo di darcela a bere nel modo giusto e con un dolce-salato da mandar giù senza pensarci più di tanto).

   Una ripresa che anticipa la battute e delle battute mai più scontate e ovvie. Giusto o non giusto, i continui rimandi, spostamenti temporali, luoghi e personaggi alla lunga nuocciono (molto) alla storia e ai suoi ‘scambi’ culturali. E ciò che è veramente importante (la voglia di un figlio) si perde con archi registici discutibili e alquanto vezzosi e il disincanto umano o almeno l’intenerimento di un cuore è irrisorio e fiaccato da scene madri (o presunte tali) disarmanti, slegate e pomposamente risibili. E..sì il film di Castellitto risulta tediosamente da ribasso emozionale come bere acqua distillata acerbamente lavata da lacrime inutili e più che altro annullate. Animo e luoghi spettrali di rigurgiti emotivi e parsimonia recitativa di un imbarazzo quasi spaventoso. Non vorrei andare oltre ma dopo trentaminutitrenta di pellicola la voglia di chiudermi le orecchie è stata fortissima: un’indecenza per il grande schermo. Non par vero ai propri sensi uditivi. Imbarazzante e deprimente ogni qual volta una cosiddetta scena clou doveva dare il là allo spasmo interiore e al coacervo stimolo degli annessi sensoriali. Una vera delusione. La (buona) compagnia a cui non si rinuncia ha obbligato chi scrive a non uscire anzi tempo.
   Gemma (Penelope Cruz) torna a Sarajevo con il figlio Pietro (Pietro Castellitto); qui è invitata da uno strano poeta di nome Gojko (AdnanHaskovic) e prima del conflitto conosce Diego (Emile Hirsch) di cui si innamora senza pensarci più di tanto mandando in crisi il suo matrimonio. Gemma desidera un figlio da Diego ma scopre che non può averne. Così accetta la procreazione di un’altra donna da parte del marito fino alla restituzione del neonato.
   Un storia convulsa, allargata, accumulata e piena di anteposti e spiriti narrativi senza un vero tragitto sociologico e umano. Si mescolano in esse letture aperte e (troppo) libere di registi scopiazzati male(issimo) e con poco nesso logico con musiche (di Eduardo Cruz –fratello dell’attrice-) e canzoni sbattute sopra le immagini come fossero ardimenti narrativi e decenti archi-cinematografici.
   Che dire della (finta) incazzatura di Pietro rivolto alla madre che non ne può più di Saraiavo e preferire Roma. Un minuto di vera follia recitativa da gusto del ribrezzo e da voglia di sprofondare(si) nella poltrona. Un obbrobrio mi ha suggerito (qualcuno): un fango il lasciare le parole con una nulla parvenza di cinema. Fiction televisiva purché sia fatta bene(ino). Che grande pasticcio! E poi il figlio adottato ha il volto del padre (vero nella realtà): forse troppo eccessivo entusiasmo…
   Che dire dell’incontro di Gemma con l’altra figlia e del messaggio ‘italico’ con i due passaporti mentre Pietro si fa riprendere aspettando il là per una nuotata purificatrice. Drammaticità della scena: pochissima, anzi ti viene quasi da sorridere. Alla fine della proiezione pensavo di essere il solo col dubbio di aver visto un film inconcludente ma anche altri visi mi parevano abbastanza perplessi. Che dire di certe battute al limite di ogni ‘furore’ sentimentale e del pianto senza senso: “mi vergogno di appartenere al genere umano”, “siete la coppia….”, “anche la Vergine…”. Non oso immaginare altro nel mio ricordo post-film.
   Il libro della Mazzantini: non so che tipi di finali ci sono (non avendolo letto) ma nel film risultano talmente tanti gli accumuli e i finalini che il montaggio pare non sia esistito. Ciò che sbalordisce è la scrittura approssimativa in ogni contesto e una messa in scena poco ragionata e in fondo un annulla di ogni considerazione. Tenendo conto di una certa (onestà intellettuale –ci mancherebbe in questo caso-) altezzosa via di cinema spurio, il film di Castellitto non colpisce nel segno e rischia di essere rimesso nel circolo (tra qualche tempo) come opera di valore oltre (la bruttura che avrà ancor di più con gli anni).
 
Della recitazione e del cast lascio ogni giudizio perché perderei qualche originale parola e lascerei a casa qualche aggettivo ‘furente’.
   Regia inconsistente (i primi dieci minuti avevano illuso) e di poca levatura (autoriale –per così dire).
   Voto: 4- (non vorrei essere stato troppo generoso).

 

 

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