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Educazione siberiana

Regia di Gabriele Salvatores vedi scheda film

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La recensione su Educazione siberiana

di mm40
4 stelle

Quello ciccione un po' scemo, che parla a sproposito; il leader belloccio e bravo ragazzo; quello biondiccio che fa da amico del cuore e al tempo stesso rivale del precedente; infine quello che è sempre l'ultimo della fila, tace, subisce e a un certo punto muore anche. Tutto questo in mezzo alla neve, con grossi paraorecchi sotto una tormenta infinita. Eppure non è South Park: è un romanzo di Nicolai Lilin da cui Salvatores, con le nobili firme di Rulli e Petraglia, ha tratto Educazione siberiana; anzi, a dire il vero i principali ascendenti della trama vanno ritrovati nei film di mafia (dal più classico Padrino a Sleepers di Levinson), con un occhio al romanzo di formazione (fin dal titolo) e l'altro al costrutto logico fiabesco per eccellenza, quello del cavaliere senza paura che per difendere la propria amata (sia pure impossibile a conquistarsi) è pronto a vincere ogni sfida, contro chiunque gli si pari dinanzi. Le banalità, purtroppo, si sprecano, e questo è il problema centrale della pellicola: nonostante i buoni sforzi del regista e dei suoi co-sceneggiatori, cavare qualcosa di buono da una storia simile era realmente un'impresa al di sopra delle possibilità di qualsiasi team; un esempio a questo punto è d'obbligo. Il ruolo del ragazzino timido, che non ha praticamente una battuta nel film e a un certo punto muore a caso, è insignificante, così come non ha alcun senso pensare che due adolescenti delinquenti dal coltello facile portino con sè nelle loro feroci scorribande per lunghissimi anni un grassone pauroso e il timido ancor più fifone di cui sopra (e che questi due sopravvivano, peraltro). Se dal punto di vista estetico invece il risultato può dirsi soddisfacente, rimane comunque da valutare (e difficilmente lo si farà in positivo) la parlata spezzata e smodatamente enfatica con cui viene doppiato Malkovich, ovviamente incolpevole, elemento fastidioso quasi quanto l'uso estemporaneo del ralenty nei momenti di maggior pathos (purtroppo sì, Salvatores è arrivato perfino a questo). L'unico nome nel cast che si affianca all'appena citato interprete americano senza sfigurare (quasi tutti gli attori sono esordienti, seppure apprezzabili) è quello di Peter Stormare, visto già più volte nei film dei fratelli Coen. Montaggio protagonista, ahinoi: la trama si suddivide su tre piani temporali che si intersecano di continuo nel racconto, generando confusione e, alla lunga, pure noia. Musiche di Mauro Pagani, ben assortite. 4,5/10.

Sulla trama

Due ragazzini crescono con usanze e credenze di una piccola comunità mafiosa russa, quella dei siberiani; nel 1988 uno va in galera e quando ne esce, nel 1995, trova caduti sia il muro di Berlino che le vecchie abitudini. Tranne che per il suo amico d'infanzia, ancora attaccato ai dettami del nonno boss.

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