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Primavera in una piccola città

Regia di Mu Fei vedi scheda film

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La recensione su Primavera in una piccola città

di Antisistema
10 stelle

Ancor prima che entità materiale, le frequenti inquadrature delle mura in rovina presenti in Primavera in una Piccola Città di Mu Fei (1948), assumono una valenza metafisica, ergendosi ad emblema di una Cina devastata da 8 anni di guerra contro il Giappone (1937-1945), che avrà i suoi strascichi successivi nella ripresa della guerra civile tra nazionalisti e comunisti, con la vittoria della fazione capitanata da Mao e la fuga degli oppositori nell’isola di Formosa (oggi conosciuta come Taiwan) oppure ad Hong Kong (all’epoca sotto amministrazione del Regno Unito).
All’inverno segue la primavera, il cui torpore riscalda l’uomo, senza farlo soffocare nel caldo tipico dell’estate, dopo il lungo periodo di freddo.
Mu Fei và oltre ogni coordinata spazio-temporale, costruendo una narrazione con due sole location (la casa e le vecchie mura della città) e cinque attori, in un rigoroso Kammerspiel, che ricorda vagamente Breve Incontro di David Lean (1945), ma in chiave cinese.
L’impianto melodrammatico di base, viene scardinato dalle lunghe inquadrature fisse, che mostrano le estenuanti lotti interiori di Yuwen (Wei Wei), stoica moglie di Liyan (Shi Yu), nell’atto di vivere una routine anonima e monotona, che oramai ha consumato in negativo un matrimonio di 8 anni.
Yuwen è sospesa in una eterna ripetizione di gesti, faccende e piccole azioni quotidiane uguali a sé stesse, mascherando ogni emozione o sentimento dietro un’espressione facciale minimale. L’unico pensiero della donna, concerne l’acquisto di cibo e le medicine per il marito malato di tubercolosi, ma in realtà in forte stato depressivo. Yuwen è incapace di prendere una decisione se continuare con questa vita, oppure lasciare tutto per andare via, ma ogni volta vi rinunzia, in quanto prigioniera di un muro in rovina interiore, che le impedisce scelte nette.
Con rara finezza descrittivo-psicologica, il marito Liyan, tutto è tranne che una persona cattiva; semplicemente l’uomo si ritrova come il suo paese, spesato e senza riferimenti dopo la seconda guerra mondiale, che ha lasciato la gran parte della casa in rovina, per via delle devastazioni dei Giapponesi, ma anche a causa dell’incuria dei due coniugi. Non c’è speranza di ripartenza allo stato attuale, ricostruire mattone dopo mattone è un gesto che sfianca l’animo prima ancora del fisico, comportando l’immediata rinunzia ad ogni tentativo di ripartenza, in quanto impossibilitati a trovare qualsiasi cosa di bello o positivo nella vita.
Quelle mura continuamente inquadrate sullo sfondo nei dialoghi tra i personaggi è come se si frapponessero in modo invisibile tra loro, sancendone di fatto la totale incomunicabilità.
Metà delle battute pronunciate da Yuwen sono monologhi interiori, che se dapprima si limitano a descrivere la scena, nel corso dello sviluppo filmico, quelle parole, goccia dopo goccia, scavano picchi di sorprendente finezza e profondità emotiva, plasmando lo stato d’animo combattuto di una protagonista, presente fisicamente nella scena, ma sempre rivolta altrove nel pensiero. Ovunque, per non focalizzarsi ulteriormente sulla penosa situazione vissuta.

L’elemento esterno introdotto tramite Zhang (Li Wei), medico e lontano amico del marito, nonché ex-spasimante di Yuwen, turba l’equilibrio apatico creatasi tra moglie, marito, sorella minore di quest’ultimo ed il servo Lao Huang.
L’occasione che si aspettava, si presenta improvvisamente ed i sentimenti dimenticati dallo scorrere del tempo, improvvisamente riaffiorano, minando l’armonia del gruppo ed i rapporti d’amicizia.
Il paesaggio, i luoghi e le ambientazioni in questo dramma familiare, assumono un ruolo di primissimo piano, correlandosi nella loro dimensione simbolica con lo stato d’animo interiore dei personaggi, prefigurando l’esistenzialismo di Antonioni secondo certa critica, ma in realtà sembra molto più ricordare, come disse John Woo al Festival di Venezia del 2005, una sorta di neorealismo pittorico, che trova molti legami, con la sperimentazione rosselliniana della trilogia della solitudine, Stromboli Terra di Dio (1950) su tutti.
Le passeggiate lungo le mura in rovina della città, le gire in barca, le confessioni nel chiuso della camera degli ospiti, esteriorizzano la condizione desolata del mondo interiore dei personaggi, indecisi sull’avvenire ed incapaci di prendere decisioni definitive. La voce fuori campo di Yuwen, assume connotati di spiccato lirismo, con vette letterarie, inneggiante alle più alte vette estetico-poetiche del cinema, aderendo pienamente alla soggettività del suo personaggio, facendosi veicolo di uno sguardo femminile schietto e sincero, nelle sua considerazioni in merito a come si sente e soprattutto sul rapporto insoddisfacente con il marito.
Una pellicola femminista ante-litteram? Possibile, ma Mu Fei, non prende posizioni nette, come del resto non lo fanno i personaggi, eternamente combattuti tra i loro desideri ed i principio del rispetto dei valori di amicizia/fedeltà coniugale, portando ad un finale che nella sobrietà registico-stilistica, in realtà nasconde una stratificazione di multiformi interpretazioni nella sua apparente, superficiale e semplicistica costruzione circolare.
Il regista Mu Fei dopo la fine della guerra civile e l’avvento di Mao, emigrò ad Hong Kong, morendo nel 1951 all’età di soli 44 anni. Sconosciuto in occidente all’epoca della sua uscita, Primavera in una Piccola Città verrà dimenticato anche in patria, venendo di fatto riscoperto solo nel 1981, per poi imporsi con l’esplosione del cinema orientale in oriente, venendo considerato il più grande film cinese di tutti i tempi.

locandina

Primavera in una piccola città (1948): locandina


Film aggiunto alla playlist dei capolavori: //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297

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