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Pasta nera

Regia di Alessandro Piva vedi scheda film

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La recensione su Pasta nera

di OGM
8 stelle

C’era la guerra, e loro erano bambini. Poi, quando i cannoni tacquero, iniziò la grande miseria. Al sud si dormiva anche in otto in una stanza, e la merenda era a base di pane e pomodoro. Quella era la realtà, per Severino, Americo, Erminia, Dante, e tanti loro coetanei sparsi tra il Lazio, la Campania, la Puglia. Oltre l’orizzonte si estendeva il nulla, o forse un pianeta sconosciuto, che, a pensarci, metteva tanta paura. I grandi raccontavano che al nord vivevano i comunisti, che ai bambini tagliavano le dita delle mani e dei piedi, e poi li mangiavano, o forse ne facevano saponette. Non tutti accettarono di salire su quel treno: una lunga catena di vagoni affollati di ragazzini scalmanati, che le mamme si erano appena strappati a malincuore dal petto, per consegnarli alla speranza di una vita migliore. Lassù, nell’Alta Italia, come si diceva allora, li aspettavano, nelle case emiliane, un letto caldo e pulito, i vestiti senza strappi, e brioche, pasta e salame a volontà. Non è una fiaba della buona notte. È la vera storia di una migrazione di massa, avvenuta nel primo dopoguerra, ed organizzata dall’Unione Donne Italiane. Una delle cose belle che sono accadute nel nostro Paese, e che solitamente tendiamo a seppellire nell’oblio, perché ci piace troppo disprezzarci. Sono centinaia i piccoli del meridione affidati temporaneamente ad altrettante famiglie del nord, di varia estrazione sociale, ma accomunate dallo stesso desiderio di donare amore in un momento tanto difficile per l’intera nazione. Nessuno era ricco, ma chi aveva un po’ di più lo divideva con chi era meno fortunato. Era la solidarietà dei periodi neri, che abbatte tutte le barriere, comprese quelle linguistiche. Il contadino modenese riusciva a capire il dialetto napoletano.  E tutti  parlavano e mangiavano insieme, come fratelli e sorelle, come padri, madri e figli, anche se si erano appena conosciuti, e sapevano che di lì a poco si sarebbero di nuovo separati. I protagonisti di questo meraviglioso capitolo del nostro passato lo ricordano, a sessant’anni di distanza, con la freschezza di una gioia che, dai tempi dell’infanzia, sembra non essersi mai appannata. Alessandro Piva raccoglie le loro testimonianze sul lungo viaggio di andata, l’incontro tra due mondi tanto diversi, la scoperta di un piccolo paradiso, il ritorno a casa, la voglia di non perdersi di vista e restare amici per tutta la vita. Sono le loro voci vere, con i loro volti di oggi, maturi e a colori, che si alternano alle immagini in bianco e nero dei cinegiornali e dei vecchi documentari dell’Istituto Luce. Il contrasto ci ripropone i due estremi di un cammino, dalla povertà di una terra devastata alla rinascita di un popolo che ha saputo unire le forze per uscire dall’incubo. E ci presenta le due metà di un’identità nazionale, che, nell’emergenza, hanno saputo mettere a frutto le proprie differenze.  Siamo stati grandi, un tempo, anche quando le strade erano ingombre di macerie e si andava in giro con le scarpe rotte. Per compiere il miracolo, è bastato dimenticarsi di essere divisi.

 

“Ricordo l’alba. Finalmente il treno si fermò. Ho aperto la porta del treno, e mi sono accorta che fuori aveva nevicato.”

 

Sono le parole della giornalista Miriam Mafai (1926-2012). Nel 1948, su quel treno, ad accompagnare quei bambini, c’era anche lei.

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