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Outbound

Regia di Bogdan George Apetri vedi scheda film

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La recensione su Outbound

di OGM
8 stelle

Alle 8 del mattino Matilda va a trovare il fratello Andrei. Alle 13 Paul, il suo ex compagno. Alle 16 il figlio Toma, che è ricoverato presso un orfanotrofio di Bucarest,  e che non vede da due anni. Questi sono i momenti salienti delle ventiquattr'ore di libertà che le sono concesse. Matilda è in carcere, ed ha ottenuto un permesso di uscita per partecipare i funerali della madre. Questa è la prima volta, da che è rinchiusa in prigione, che quella giovane donna può riprendere contatto col mondo. E subito riscopre la solita, schifosa vita di sempre. Là fuori non c'è posto per lei, come forse non c'è mai stato. Tutti la respingono e la disprezzano, per un motivo o per l'altro. Quei pochi legami che credeva di avere si sono spezzati. Matilda se ne rende conto poco alla volta, mentre ripercorre le strade a lei familiari e anche quelle sconosciute. Il suo cammino si snoda lungo un road movie del cuore,  le cui tappe sono segnate da tentativi di riallacciare antichi rapporti, ritrovare affetti perduti, e dalla delusione di accorgersi che, mentre lei era ferma e lontana, le cose sono andate avanti senza di lei, e non c'è modo di farle ritornare indietro. Ostinazione, forse disperazione, è la forza che dilata il tempo, scavando dentro l'attimo, per poter raccogliere le ultime briciole di quello che si credeva certo, e che sembra impossibile vedere d'un tratto svanire. Ciò avviene senza un vero perché, semplicemente per effetto dell'oblio, che condanna chi se ne è andato. Qui, come non mai, la lentezza è ricerca silenziosa, che cova la fiducia con la sommessa energia di una preghiera segreta. Matilda ha in mente di non rispettare le consegne e fuggire all'estero, nascosta a bordo di una nave in partenza dal porto di Constanta. Coltiva il suo progetto con la discrezione di chi ancora crede nella compassione degli uomini e del destino, che non può essere negata a lei, innocente vittima del sistema, l'unica a pagare per colpe non sue. Sarà per questo che è restia a chiedere apertamente aiuto, che procede a tentoni, con una esitazione che può essere scambiata per timidezza. Tasta prudentemente il terreno, prima di allungare la mano per prendere quanto considera come la giusta restituzione di un debito. Si illude di poter mungere la sterilità, in un universo in cui ciò che conta  è aderire ad una logica di compravendita, di denaro o di complicità, che è poi l'unico modo per appartenere al gruppo e sopravvivere. La debolezza di Matilda è la sua solitudine, il suo essere diventata niente, per aver perso i ruoli che potevano conferirle un'identità, e, soprattutto, fornirle una merce di scambio. Ora, Matilda, non possedendo più nulla, non ha più alcun potere contrattuale: i vestiti che ha indosso ed i pochi oggetti personali che porta nella sua borsetta sono un inutile bagaglio che può servire solo a lei, per la sola durata del giorno di libertà che le è concesso. Con quelle poche cose, è una vagabonda che non può pagarsi il viaggio, il cibo, un senso da dare all'esistenza. È abbandonata a se stessa, con i suoi sogni irrealizzabili, i suoi bisogni primari destinati a rimanere mortificati, le sue ragioni che nessuno vuole ascoltare. È una presenza sofferente e delicata, perché disarmata ed incompresa; è una guerriera che non ha perso la voglia di lottare, ma sa che nulla può fare senza l'altrui pietà. La combattività tipicamente femminile non è soltanto protagonismo aggressivo; può essere uno spirito battagliero applicato all'emarginazione, che annaspa nelle retrovie nello sforzo di farsi largo anche quando ha tutti contro. Outbound è un'avventura di periferia, che attraversa il deserto dell'indifferenza al dolore, e dell'insensibilità all'amore: in poche parole, di tutto ciò che rende l'individuo fragile, e che, soprattutto, non si può convertire in moneta.

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