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La chiave di Sara

Regia di Gilles Paquet-Brenner vedi scheda film

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La recensione su La chiave di Sara

di OGM
8 stelle

La vicenda di fondo è nota, ma il racconto che ne emerge è tutt’altro che banale. Il contesto storico è quello recentemente trattato ne La Rafle (Vento di primavera): la deportazione di migliaia di ebrei parigini nel luglio del 1942. Ma la sorte che, in mezzo a quell’immane tragedia umana,  è toccata alla piccola Sarah, è un destino crudele che continua nel tempo, collegando un passato da dimenticare ad un futuro fortemente aggrappato alla speranza di poter cominciare tutto daccapo. La chiave che la bambina custodisce gelosamente nasce come un pegno d’amore, che diventerà il sigillo di un’atroce realtà. Il trauma indelebile, per lei, è vedere una via di salvezza trasformarsi in una tomba, un gesto fraterno sfociare in una condanna a morte. Sarah sopravvivrà all’Olocausto, ma dentro di lei il dolore, misto ad un terribile senso di colpa,   proseguirà la sua lenta azione devastatrice. Tanti decenni dopo, nel 2009, la giornalista americana Julia Jarmond  inizia ad investigare intorno all’origine di un appartamento parigino, appartenuto per sessant’anni alla famiglia del marito. Un’abitazione che si era resa libera proprio nell’estate del 1942. In questo modo Julia scopre l’esistenza di Sarah, e si mette alla sua ricerca. Un’indagine che si incrocerà con la sua vita privata, intrecciando idealmente, nell’universo femminile, un dramma antico con uno moderno. L’elemento comune è una famiglia che si disgrega, e lascia una donna  alle prese con scelte e responsabilità di cui deve farsi carico da sola. Il dilemma è decidere tra la vita e la morte, tra il coraggio di andare avanti e la scelta di arrendersi alla forza del male. Ne esiste una versione per ogni epoca, per ogni condizione, per ogni tipo di personalità. In ogni caso, la donna, madre, figlia, sorella, è la detentrice di una verità difficile, che lei sola ha il coraggio di guardare in faccia ed affrontare apertamente. A lei spetta anche il gravoso compito di ricordare, che significa serbare un peso nel cuore, oppure riportare alla luce ciò che nessuno vorrebbe sapere. La memoria è amarezza e imbarazzo. Ciononostante, Sarah la ferma, giorno dopo, giorno, nelle pagine del suo diario. E Julia vuole arrivare a leggerla, nelle fotografie, nei filmati, nei documenti originali. Per contro, c’è chi è insensibile al problema, perché avverte il passare del tempo, e mano a mano che l’età avanza, vede aumentare il cumulo delle cose che intende lasciarsi alle spalle. Un uomo si crede troppo vecchio per diventare padre; un altro, ormai cinquantenne, si rifiuta di modificare l’immagine della madre precocemente defunta, che ha conservato dentro di sé dall’infanzia. Julia li sfiderà entrambi, ponendoli di fronte alla prepotenza della vita, che chiede di essere accettata ed accolta. Gilles Paquet-Brenner trae, dal romanzo di Tatiana De Rosnay, una storia che insegna a seguire le tracce, anche quelle più flebili,  che parlano con la voce sommessa delle sofferenze nascoste dal velo del pudore. La chiave di Sarah è un invito a credere in quei fiochi segnali che, sotto la polvere delle convenzioni, indicano la strada verso la rivelazione.  Sono le particelle che intorno a sé disseminano le verità nascenti, o mai sopite, che gemono per essere ascoltate: un embrione nel grembo materno, o un crimine mai espiato. L’inizio e la fine sono gli anelli più deboli nella catena dell’esistenza umana: sono quelli a cui è più arduo dare un senso, ossia un significato che li colleghi alla vita di chi si trova a metà del cammino, e non ne conosce le estremità. Partenza e traguardo si fondono, formando un ciclo perfetto, ma solo per chi, come Julia, è in grado di guardare, nel medesimo istante, e con la stessa intensità, sia avanti, sia indietro. 

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