Regia di David Cronenberg vedi scheda film
Dopo una serie infinita e devastante di pessime visioni, vacue nei casi migliori e traboccanti mefitica immondizia negli altri, questo lavoro di Cronenberg mi restituisce un filo di speranza riguardo il futuro di questa agonizzante forma d'arte.
Non che le sei rimanenti se la passino meglio; soffrono tutte dello stesso male: si perpetuano, cannibalizzandosi, in una squallida rappresentazione di se stesse, a ogni passaggio sempre più stracche, sempre più sbiadite, sempre più indefinibili.
Basta, infatti, una sola frase estrapolata casualmente da uno qualsiasi dei numerosi dialoghi che compongono la struttura di questo film a spazzar via, in un sol colpo, intere cinematografie, come quelle dei vari von Trier, Refn, Malick, Aronofsky, McQueen, Dumont e tutta quella pletora di onanisti mentali che riducono lo spettatore alla stregua di un voyeur, spesso, a quanto sembrerebbe, totalmente inconsapevole, delle loro nefande attività di compiaciuto autoerotismo; registucoli che hanno trasformato la cinematografia moderna in una olla podrida di concetti deprimenti, tenuti insieme (sempre più raramente) da una buona abilità tecnica e da una novità prospettica, frammentazioni anamorfiche e stasi narrative.
A tracciare un'indelebile linea di demarcazione, netta e inequivocabile, tra quel tipo di cinema anemico e moribondo e quello pulsante e vitale, quel Cinema, per intenderci, che, come ogni forma d'arte che si rispetti, rende migliori le nostre caduche esistenze, ci si deve mettere, ancora una volta, un giovanissimo regista, classe 1943: uno degli ultimi veri cineasti rimasti, impressionante per lucidità e freschezza di pensiero.
Un regista che, per nostra fortuna, ha ancora qualcosa da dire e sa come farlo.
Per chi ancora sa ascoltare.
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