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Symbol

Regia di Hitoshi Matsumoto vedi scheda film

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La recensione su Symbol

di pazuzu
8 stelle

Un uomo giapponese di mezza età della cui vita nulla è dato sapere si sveglia disteso sul pavimento di una grande sala chiara e luminosa ma vuota e priva di mobili porte e finestre, dalle cui pareti lisce e plasticose fanno capolino, come dei calchi, una miriade di piccole protuberanze falliche: sono i pistolini di tanti angioletti che lì sono allocati, nascondendo il resto del corpo all'interno delle mura. Nel frattempo, in un Messico caotico e selvaggio, un wrestler taciturno e apparentemente introverso si appresta ad affrontare un incontro importante: si fa chiamare Escargot Man, e cela il proprio volto dietro una maschera verde che non toglie mai.

Symbol è l'opera seconda di Hitoshi Matsumoto (membro, insieme a Masatoshi Hamada, dei Downtown, un duo comico televisivo molto popolare in patria ed attivo fin dagli anni 80), oltre che regista anche mattatore (notevole per tempi comici e mimica facciale) nel ruolo dello strambo protagonista, uno spaventatissimo individuo imprigionato in un ambiente chiuso governato da strane regole e bizzarri automatismi, al quale conferisce la propria aria svagata ed un orrido ed infantile taglio di capelli a scodella; scalzo ed avvolto da un improponibile pigiama giallo a pois, l'uomo ignora la ragione del proprio confino in quella misteriosa realtà alternativa, impegnandosi da subito nella ricerca di una via d'uscita che, in una stanza priva di tutto, può essere solo in quei molteplici piccoli peni che sbucano da ogni dove, che si ergono come pulsanti e che come tali vanno utilizzati, cercando di volgere a proprio favore i meccanismi che mettono in moto. Perché ognuno di essi, infatti, ha una sua specifica funzione: c'è quello che distribuisce sushi e quello fa scendere un getto d'acqua dall'alto, quello che materializza aborigeni e quello che rilascia vasi in terracotta, quello che dispensa manga e quello che fornisce racchette, e via così all'infinito, per una gamma di servizi davvero ampia e variegata. Si assiste di conseguenza ad un corpo a corpo astratto e grottesco tra l'uomo e la sua prigione, in un susseguirsi di gag visive esilaranti che procedono per accumulo, spaziando dalla comicità demenziale agli in­serti di taglio fumettistico.
L'altra traccia narrativa, sviluppata in parallelo, inerente il wrestler messicano, è caratterizzata da brevi ma significative strisce durante le quali, in un'ambientazione sporca e polverosa, la ribalta spetta spesso ai curiosi caratteri dei personaggi: dalla figlia Karen che lo accompagna, una suora decisamente sui generis che porta occhiali da sole, fuma come una ciminiera, parla come uno scaricatore di porto e guida come un'invasata, al suo primo tifoso, il figlio minore Tonito, che preferisce seguirlo piuttosto che studiare, accompagnato ed incoraggiato a sua volta dallo scapestrato nonno.
Lo spazio (il)limitato e (in)definito nel quale l'uomo col pigiama giallo agisce, trovandosi a riempirlo gradualmente di oggetti d'ogni tipo, ha un nesso (il)logico con quello ben più comune nel quale Escargot Man e la sua scalcagnata famiglia si muovono, un nesso assurdo come l'assunto alla base dell'intera vicenda, un nesso surreale che diviene chiaro in tutta la sua potenza nell'esilarante scena madre che precede il lungo finale rivelatorio e beffardo.

Symbol
è un film totalmente folle, scorrevole e divertente, metaforico e filosofico, una solenne presa in giro che si fa beffe dell'uomo e gioca con la metafisica, un film che tiene fede al proprio titolo e chiede allo spettatore di essere interpretato, un film che dice più di quanto mostri o che forse, sotto sotto, non vuol proprio dir nulla, ma che in un caso o nell'altro lo fa veramente alla grande.

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