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Kichiku

Regia di Yoshitaro Nomura vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Kichiku

di yume
8 stelle

C’è un modo, in Nomura, che ricorda la dolorosa pietas di Kurosawa nel guardare al mondo dei deboli, inerti di fronte al male che si esercita su di loro in nome di futili scelte egoistiche da parte di chi detiene potere di vita e di morte sulle loro vite

Film del ’78, è fra gli ultimi della cospicua filmografia di Yoshitaro Nomura, filmmaker di successo della Shochiku, formato alla scuola di Kurosawa, Sasaki e Kawashima, gratificato in patria da riconoscimenti di critica e botteghino, ma praticamente sconosciuto in Occidente.

The Demon e A Brute sono i titoli con cui il film è stato esportato, ma non ha per questo avuto miglior fortuna.

Eppure Nomura, scomparso nel 2005 a 85 anni, è considerato il maestro del thriller nipponico e Seicho Matsumoto gli ha più volte offerto le trame  dei suoi romanzi, come per questo dramma famigliare che adotta stilemi hitchcokiani  nel costruire l’evento criminoso con tempi lunghi, inserendo ostacoli casuali al suo compimento e un clima di assoluta normalità intorno al crescere della volontà omicida.

Quello che qui fa la differenza è il tema famigliare, di netta ascendenza nipponica, che tende a virare in alcuni momenti al mélo, soprattutto nel finale e nella figura del padre, rifiutato dal figlio, che lui ha tentato di uccidere, proprio quando diventa consapevole della sua abiezione.

Depurato di questa deriva, peraltro abbastanza contenuta, il film si fa notare per la messa a fuoco lucida e mai ridondante di un universo totalmente ribaltato di legami parentali, dove non s’intravede il minimo barlume di pietà, e ancor più miserabile è lo scenario in quanto vittime inconsapevoli della violenza sono i bambini.

C’è un modo, in Nomura, che ricorda la dolorosa pietas di Kurosawa nel guardare al mondo dei deboli, inerti di fronte al male che si esercita su di loro in nome di futili scelte egoistiche da parte di chi detiene potere di vita e di morte sulle loro vite (Dodé‘ska-dén, Una domenica meravigliosa, L’idiota, per citarne alcuni).

Tre adulti e tre bambini, in una simmetria perfetta, sono i termini di una tragedia che si consuma in squallidi interni dei sobborghi putrefatti di Tokyo, dove l’attività della piccola tipografia di Sokichi, uomo debole e irresoluto, e della moglie O-Ume, gelosa, vendicativa e meschina, va avanti a fatica.

La città ricca e laboriosa, densa di grattacieli e strade trafficate si vede solo dall’alto della torre panoramica, dove il padre abbandonerà la piccola Yoshiko di 6 anni, vicino al cannocchiale. Shoji, il più piccolo dei tre, 2 anni, è già morto per maltrattamenti, ingozzato di cibo da O-Ume e alla fine lasciato a morire sotto un telo di plastica per asfissia, le piccole gambette che spuntano sembrano quelle di un povero bambolotto dimenticato.

Resta il più grande, Riichi, 7 anni e un visetto triste, capace di capire tutto il male del mondo senza poter far niente, solo tirar su col piccolo naso mentre lo portano in orfanotrofio, dove si farà tanti amici, gli dice il poliziotto.

Kikujo, la madre, amante di Sokichi e lasciata senza mezzi di sussistenza, li ha mollati a lui all’inizio del film ed è sparita senza lasciare traccia, dopo una penosa scenata davanti ad O-Ume, ignara della doppia vita del marito.

L’abiezione di questo triangolo malefico sacrificherà sull’altare del proprio egoismo i tre bambini.

Quello che fa di questo film un piccolo capolavoro è la dolce freschezza dei tre bambini, il legame fra i due più grandi, la serietà da ometto di Riichi, che cerca la sorellina correndo dappertutto, chiamando con vocina sottile Yo’ ko! Yo’ ko! e quel suo tacere il nome del padre con la polizia, quel voler nascondere al mondo l’atrocità di un gesto che un padre non può voler compiere su un figlio.

Il suono infantile di un carillon accompagna spesso le scene, una bella fotografia riprende scenari favolosi di rocce a picco sul mare e tramonti infuocati, una natura matrigna e stupenda avvolge in un manto perverso un genere umano miserabile e senza speranza. 

 

 

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