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Il momento di uccidere

Regia di Anthony Ascott (Giuliano Carnimeo) vedi scheda film

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La recensione su Il momento di uccidere

di scapigliato
8 stelle

Primo spagowestern di Carnimeo dopo l’esperienza di coregia con Simonelli in I Due Figli di Ringo. E già vediamo come il suo talento serve a giocare con la commistione di generi, aspetto privilegiato del western all’italiana. Il film s’apre con una gran bella sequenza, diretta dal montatore Stelvio Massi, ma che non cambia troppo il giudizio in tavola visto che Carnimeo è un asso anche lui nella regia di scene dinamiche ed evocative. Tant’è che la bellissima sparatoria nel saloon, di notte, giocata tutta di specchi e inganni visivi, è la summa dell’intero film, giocato appunto su un linguaggio arzigogolato fatto di visioni e di immagini se non propriamente ingannevoli sicuramente curate, iper-ricercate, studiate maniacalmente come maniacale è la cura del dettaglio e dei movimenti di macchina. Tornando alla sequenza iniziale, infatti, c’è un sorprendente movimento di macchina che mette tutti a terra per rottura con il classico.

La storia possiamo dire che anticipa il clichè Hill-Spencer, giocando anch’essa sulla coppia classica di opposti qui rappresentata anche bene da George Hilton e Walter Barnes. Il primo è uno pseudo-dandy dalle sì belle maniere, ma sempre fatali e spiccie. Bellino, raffinato nei tratti - dopotutto si chiamo Lord - è il pre-Trinità più riuscito perchè porta con sé l’ilarità del personaggio simbolo di Terence Hill. Walter Barnes invece, è un rusticissimo omone bruno malvestito da sudista in disgrazia, molto burbero e grezzo che chiaramente anticipa il personaggio che poi diremmo “alla Bud Spencer”. Le sue battute sono lapidarie e simpatiche come copione vuole, e la sua presenza scenica è notevole in ogni momento del film. I due sono ex soldati sudisti ingaggiati dal vecchio amico Warren, ora giudice del paese, per ritrovare l’oro dei confederati e vincere possibilmente la guerra - per altro terminata già da un anno per stessa ammissione del personaggio di Hilton. Questo fantomatico oro è nascosto da qualche parte nella proprietà dei Forrester il di cui bastardo parente interpretato da Carlo Alighiero li ha sterminati tutti. Sopravvive solo una figlia, Regina, spedita a Boston per delle cure mediche e mai più tornata. É lei, insieme ad un vecchio libro titolato “Camelot”, la chiave del mistero e del nascondiglio del tesoro. Tesoro che fa gola sia al giudice Warren, che muore appena dopo la sua apparizione, sia ai due protagonisti, sia ai due Forrester padre e figlio, quest’ultimo interpretato dal fanatico Horst Frank. Sul tesoro ci mettono gli occhi anche il vecchio servo dei Forrester, Trent, e la malata Regina che viaggia su una sedia a rotelle e raggiunge la vecchia città natale su invito dello zio assassino.

Il film è un riuscito pastiche di western e giallo, entrambi tinteggiati di gotico, proprio come Carnimeo dimostrerà più avanti con la serie su Sartana. Il finale è un susseguirsi alternato di agnizioni tipiche da giallo e di scene cult come la sparatoria nel saladero e la chiusura bizzarra della scoperta dell’oro. Il tutto è cucito insieme da scene di raccordo che non fanno una piega, e stanno benissimo lì dove sono. É l’esordio giusto per un regista di spessore, con le idee ben chiare in testa e che sa giocare e stupire con il linguaggio filmico.

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