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Diciottanni - Il mondo ai miei piedi

Regia di Elisabetta Rocchetti vedi scheda film

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La recensione su Diciottanni - Il mondo ai miei piedi

di spopola
6 stelle

Qualcuno ricorderà il felice debutto di Elisabetta Rocchetti in un ruolo da protagonista e in un film “impegnato” e importante come L’imbalsamatore di Matteo Garrone che consentì all’attrice di aggiudicarsi il Globo d’Oro come migliore esordiente nel 2003 (era Debora, la “ragazza con la bocca rifatta”, una che cambia continuamente mestiere, e colei che innescherà la scintilla che determinerà il tragico epilogo che chi ha visto il film ben conosce).
Da allora il cinema italiano non ha però offerto alla Rocchetti altre occasioni interpretative di analogo rilievo (non è stata ovviamente inattiva fra grande schermo e televisione, ma si è in genere dovuta accontentare di ciò che – come si dice in gergo - passa il convento).
E’ quindi una piacevole sorpresa ritrovarla adesso impegnata nella regia (una passione che ha sempre coltivato in parallelo) di questo Diciottanni – il mondo ai miei piedi che ha anche interpretato, oltre che sceneggiato e prodotto (in collaborazione con “Officine Blu” che ne curano anche la distribuzione, sempreché davvero riescano, con i pochissimi mezzi che hanno a disposizione per far sentire la loro voce, a far  “emergere” la pellicola dal fondo del barile e garantirle una magari fugace programmazione in sala che per il momento credo difficilmente ipotizzabile, visto che si tratta di un’opera “intelligente” ma davvero minimale sulla quale pochissimi, esercenti compresi, ritengo  siano disposti a scommetterci sopra).
Intendiamoci, l’opera è ancora acerba e ingenua (la possiamo definire al massimo “sufficiente”), ma la neo-regista dimostra di conoscere abbastanza bene i suoi limiti e li  sfrutta  al meglio, e soprattutto con l’umiltà di chi ha voglia di mettersi in gioco “rischiando sul campo” e senza pretendere di strafare. Si avverte dunque la consapevolezza di chi ha ben presente che nessuno nasce “imparato” e intende per questo affrontare seriamente  un percorso irto di difficoltà per una esperienza di crescita che non potrà che essere positiva, il che  rende la Rocchetti (almeno ai miei occhi) decisamente simpatica, e fa sì che il risultato diventi alla fine complessivamente “accettabile”, pur nella povertà dei mezzi anche espressivi  a disposizione (e messi in campo).
Potremmo dire allora che questo suo primo impegno registico si impone per la freschezza della rappresentazione, facendosi soprattutto apprezzare per il buon ritmo imposto alla narrazione e per la dimostrata capacità di affrontare senza troppi compiacimenti una materia tutt’altro che facile soprattutto  per la notevole dose di cinismo e sgradevolezza che si  porta dietro.
Se la regia è scarna e senza  troppi guizzi narrativi, anche la storia che ci viene narrata  può apparire un  po’ usurata, poiché è di quelle che abbiamo visto e rivisto più volte sia al cinema che in televisione (e in questo non ha molti margini di originalità), ma ha il merito di essere perfettamente calata dentro l’ambiente che descrive e di fornircene un quadro abbastanza preciso, il che contribuisce a renderla credibilmente interessante e meno ovvia del solito grazie al suo "amaro sapore di verità" che trasmette. Ne è protagonista Ludovico,  un ragazzo diciottenne che ha difficoltà a vivere “serenamente” la sua giovinezza perchè porta sulle spalle il peso di un passato molto doloroso che lo ha segnato in negativo. Rimasto orfano in tenerissima età, è stato cresciuto da uno zio tossicodipendente, e forse è proprio la compensazione per la mancanza di una presenza al femminile nei suoi affetti infantili, ciò che ricerca nelle donne, in particolare in quelle più grandi, quell'amore incondizionato che non ha mai potuto avere da piccolo che cerca adesso di sfruttare, nel tentativo fallace di riuscire così a riempire il suo vuoto "sentimentale" che diventa però (e al contrario) sempre più aridamente incolmabile. Emerge dunque in assoluto primo piano, la figura di un personaggio maschile molto problematico (qualcuno – non ricordo chi - lo ha definito un diciottenne “mostruoso” con il cuore di pietra), abituato a barcamenarsi all’interno di sofferte difficoltà familiari, ma che  non riesce a viverle come esperienze da volgere in positivo, così da assorbire  alla fine soprattutto i lati sgradevoli di quel percorso fallimentare di “formazione” (gli “insani” principi e le cattive abitudini apprese dagli esempi domestici). Quando però il giovane si innamora dell’amante di suo zio (Giulia) sarà costretto suo malgrado ad aprire finalmente gli occhi, non solo sulla tutt’altro che edificante situazione che lo circonda e condiziona, ma anche sugli scompensi affettivi che ne sono derivati. Dopo aver toccato il fondo spirituale e morale, tenterà così di ritrovare davvero se stesso per “imparare” finalmente a vivere,  come dovrebbe appunto saper fare un ragazzo della sua età capace di mettere in gioco (e positivamente) anche i sentimenti.
Si può dedurre da questo sintetico accenno alla trama,  che ci troviamo  di fronte a un affresco generazionale amaro e complesso, incentrato sul disorientamento sociale che è anche emarginazione, e sulle difficoltà interpersonali di un ragazzo dal carattere introverso e i modi troppo sbrigativi, che ha dovuto bruciare le tappe di "una vita  difficile" (un pò borderline) e crescere troppo in fretta mettendo a profitto per emergere soprattutto le sue indubbie “qualità” esteriori che rappresentano il suo miglior (anche se un pò vuoto) biglietto da visita.
Particolarmente interessante e ben sviluppato il rapporto con l’esempio (a)morale che il giovane ha ricevuto nella sua formazione adolescenziale come "modello" diretto di conoscienza),  che è poi quello con lo zio Sandro, l’unico legame "familiare" sul quale ha davvero potuto contare anche perchè era il solo rimastogli, ma che  invece di prendersi cura di lui come sarebbe stato necessario, lo ha persino "truffato" dilapidando completamente tutta l’eredità lasciata al ragazzo dai genitori, sperperandola a suo piacimento fra donne e droga senza troppi scrupoli o rimorsi.
Costretto per questo a “gettarsi” nella mischia della vita e del mondo da solo e senza adeguate “risorse” economiche che lo sostengano, Ludovico per restare a galla, non può dunque che utilizzare l’unico strumento che possiede e conosce, quello della seduzione, che esercita soprattutto nei confronti di donne più grandi di lui: prima la sua professoressa, poi la madre del suo migliore amico, fino ad approdare al disarmante innamoramento per Giulia, appunto che finirà per diventare un attracco fondamentale della sua vita, quello da cui ripartire per tentare una “ricostruzione in positivo” del proprio vissuto.
Un’opera  dunque che gira intorno alla solitudine e al vuoto morale che sta dietro a rapporti e situazioni interpersonali tutt’altro che “costruttivi” e tenta di mettere a fuoco le dinamiche di un malessere generazionale (e non solo) con tutto quello che si porta dietro.
La Rocchetti riesce ad essere sufficientemente “cruda” nella rappresentazione del “disagio”, e soprattutto nell’evitare totalmente le trappole, i prevedibili cliché e  le facili forzature che con un personaggio “abusato” e al limite come quello di Ludovico, potevano essere in agguato. Si avverte poi perfettamente  che lo sguardo è “femminile” e che se il protagonista è un uomo, viene riservato anche alle donne (quasi tutte quarantenni e tutte altrettanto vittime di una solitudine devastante che le porta ad imbarcarsi in relazioni insoddisfacenti, futili e inappaganti) il giusto spazio e la necessaria introspezione psicologica per mettere a fuoco le loro fisionomie e le loro "ragioni" e non lasciarle relegate al ruolo  più marginale e un po’ sterile di “comprimarie”, sia pure importanti ma principalmente "decorative".
Abbastanza “accettabile” anche la recitazione degli attori,  a partire dal “gradevolissimo” (non solo fisicamente parlando)  Marco Rulli nel ruolo di Ludovico. Elisabetta Rocchetti si è poi ritagliata per sè  con perfetta aderenza, il personaggio di Giulia, ma è soprattutto  G-Max - che interpreta con sensibilità ed equilibrio il “vizioso” zio di Ludovico, tutto gioco d’azzardo, droga e tradimenti - che merita una menzione speciale (ricordate chi è vero? il simpatico conduttore della trasmissione Stracult), davvero il migliore in campo.
Passato per alcune manifestazioni festivaliere secondarie, ricordo anche che il film si è aggiudicato il premio “Terre di Siena” per la migliore interpretazione maschile.

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