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Melancholia

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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La recensione su Melancholia

di logos
7 stelle

Il film si apre con splendide immagini, rese ancor più vivide con la musica di Wagner, dando avvio a paesaggi in stile espressionista, che rappresentano la terra e l’anima dei viventi e degli umani fotografate nello loro mistica e straziante staticità, così come esse sono, o come dovrebbero essere, alla luce di un’angolazione che rimane distinta ma al tempo stesso a latere, ovverosia la fine inevitabile del mondo.

 

Justine, nella prima parte del film, sembra già dentro di sé presentire questa fine, di cui nessuno sa ancora nulla, perché i vaghi accenni rinviano a un passaggio del nuovo pianeta, Melanchonia, ma non a una sua collisione con la terra. Eppure Justine, nonostante si sia appena sposata, e stia raggiungendo con il neo marito la villa lussuosa dove tutti i parenti li aspettano per lo svolgimento della festa, è presa da una sorta di distacco esistenziale, quasi fosse noncurante di tutto quello che la sorella Claire e il cognato hanno fatto perché il ricevimento si svolgesse nella loro sontuosa villa. Justine ha sempre una scusa per allontanarsi dal marito, si isola in camera, con il pretesto di portare a dormire il bambino di Claire ne approfitta per farsi un bagno distensivo. Ma il tutto peggiora quando decide di tradire il marito con il nuovo collega appena assunto dal manager presente alla festa. Diventa sempre più provocatoria, mettendo in imbarazzo gli ospiti, licenziandosi dalla sua professione di marketing, mandando a quel paese il Manager, cercando rifugio in suo padre. Ma la festa finisce; tutti i convitati se ne vanno, persino il marito abbandona Justine, la quale allora cerca rifugio nella villa stessa, accolta dunque da sua sorella Claire, da suo marito e dal figlio.

 

Nasce così nella seconda parte tutta una storia che focalizza l’attenzione sui quattro personaggi. Il marito di Claire coinvolge il figlio nell’avventura di scoprire la traiettoria di Mealnchonia. Justine è sempre più depressa, non riesce neanche a lavarsi, a mangiare, ha interiorizzato la fine. Claire invece sembra sempre razionale, vitale. Ma con l’approssimarsi del pianeta, Justine ha una sorta di risveglio, mentre Claire si innervosisce. Qui abbiamo due reazioni diverse che raffigurano l’esistenza di fronte al naufragio. Claire, nella sua razionalità, teme l’annientamento, e viene consolata solo dalle rassicurazioni scientifiche del marito. Justine invece sa che la fine è vicina, e come nel mito di Ophelia si consola di poter svanire in se stessa, perché finire con la fine del mondo è come annientarsi in se stessi, in una sorta di delirio dionisiaco.

Quando poi diventa chiaro per tutti che il nostro pianeta è in rotta di collisione, la scienza, raffigurata dal marito di Claire, non ha più parole, e ritroviamo infatti costui nella stalla dei cavalli, morto suicida. Di fronte alla fine inevitabile, solo Justine sembra riunire in se l’elemento dionisiaco e quello apollineo, aiuta il nipotino a costruire con dei rami la cosiddetta grotta magica, e invita la sorella a rifugiarsi in questa grotta.

Si hanno insomma tre esistenze che si stringono in cerchio, e ritrovano il senso dell’unione solidale, nell’incipiente fine del pianeta terra.

 

Il film non è affatto catastrofista, ce ne accorgiamo subito dalle splendide immagini iniziali accompagnate dalla musica di Wagner. Tutta la prima parte è una ripresa delle apparenze cortesi ma crudeli quali possono essere quelle di un’alta borghesia nello svolgimento delle sue feste, e magistrale diventa la regia nell’evocazione di Vinterberg (Festen), quando riprende i vari discorsi che vengono fatti in onore dei nuovi sposi. Bergman è onnipresente, sia per il senso sotterraneo della fine incipiente, sia per lo svolgimento dei dialoghi a due (tra le due sorelle o tra Claire e suo marito) così come è presente Haneke. E’ inevitabile, in un film del genere, in cui si vuole rappresentare l’esistenza in tutta la sua drammaticità, dover dialogare con tali registi. Dunque un bel film, comunque originale nella scenografia, anche se, di fatto, secondo la mia limitata opinione, poteva essere meno diluito e più compatto, come dovrebbe essere nello stile di Lars von Trier.

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