Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Anche io ho voluto rivederlo una seconda volta per accertarmi della prima impressione avuta, ovvero di un film sconvolgente, che rimarrà per me un riferimento non solo cinematografico ma anche puramente concettuale. Che sia metafora della depressione o della morte, che stia puntando dritto contro l’umanità intera o contro di te soltanto, quando il pianeta Melancholia arriva non puoi spostarti. Lars Von Trier non fa nulla per indorare la pillola, il suo nichilismo è autentico, eppure il film non è un preambolo mortifero alla fine: possiede forza, bellezza, superbia. L’immagine della sposa che fugge trattenuta dai fili di lana, l’idea della catastrofe rivelata attraverso l’innocente strumento-giocattolo di un bambino, l’amplesso solitario di Justine alla luce del pianeta e l’invenzione della grotta magica - l’ultimo disperato, arrogante primato dell’intelletto sulla caducità della materia - scaturiscono da una capacità creativa che oggi non ha molti termini di paragone. Brave entrambe le attrici, ma la mia predilezione per la magnetica Charlotte Gainsburg mi ha portato a immaginare come sarebbe stato il suo viso imbronciato nella parte di Justine. A questo proposito riconoscerei maggiori sfumature al personaggio di Claire, perchè se Justine è la vestale dell’apocalisse ed è la prima ad accusarne i sintomi, la sorella è in realtà meno solida di come è stata percepita, in lei LVT ha riposto dolcezza e vulnerabilità, è lei che chiede a Justine che sta per presentarsi al sontuoso ricevimento “Tu vuoi tutto questo?”, così come è lei che non riuscendo a sollevare la sorella depressa le dice comprensiva “Va bene lo stesso, ci siamo allenate per domani” ed è sempre lei che cede emotivamente di fronte alla durezza di Justine.
Forse non sarà perfetto, ma Melancholia resta un’opera di grandiosa bellezza e di portata concettuale non comune.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta