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Florence Fight Club

Regia di Rovero Impiglia, Luigi Maria Perotti vedi scheda film

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La recensione su Florence Fight Club

di sasso67
8 stelle

Essendo sempre stato un fissato di calcio, mi ricordo che  quando ero bambino qualsiasi cosa che ricordasse il gioco del pallone mi attirava irresistibilmente. I miei film preferiti, all'epoca, erano Fimpen il goleador e Cinque matti allo stadio (che però era ambientato nell'atletica leggera), ma ricordo di essermi sorbito un ciclo televisivo su Antonioni nella speranza di veder prima o poi comparire l'allora capitano della Fiorentina con il pallone sotto il braccio.

Figuriamoci se ai tempi delle tivù libere mi lasciavo sfuggire le partite di calcio in costume fiorentino, trasmesse - ovviamente in registrata, visto che all'epoca la diretta non era patrimonio delle tivù private - da canali come Telelibera Firenze o RTV 38.

Devo ammettere che a quei tempi il calcio in costume mi dette una notevole delusione. Prima di tutto, ci sarebbe molto da dire sul costume storico, costituito da pantaloni di foggia vagamente rinascimentale  da una maglietta tipo Fruit in tinta, che però gli stessi giocatori si autostracciavano poco prima dell'inizio della partita (e qualora non l'avessero fatto loro stessi, avrebbero ben presto provveduto gli avversari). Ai piedi, poi, i giocatori indossavano e indossano quelle che dalle mie parti si chiamano genericamente scarpe a tennis, salvo alcuni temerari come Gianluca Lapi - uno dei protagonisti di questo film - che preferiscono giocare scalzi. I colori delle divise sono quelli dei quattro antichi quartieri fiorentini: i bianchi di Santo Spirito, gli azzurri di Santa Croce, i verdi di San Giovanni e i rossi di Santa Maria Novella.

Un altro appunto si può fare sul termine di calcio. Questa disciplina, infatti, si gioca con una palla che viene afferrata con le mani e somiglia piuttosto al rugby, o meglio ancora al football americano, che al calcio modernamente inteso. Per di più, il calcio storico viene disputato da due squadre, composte ciascuna da 27 calcianti e le partite vengono sempre disputate sulla celebre Piazza Santa Croce, opportunamente coperta con uno strato di terra (un po' come avviene a Piazza del Campo a Siena quando si corre il Palio). Quando ha inizio la partita, si formano le coppie, nel senso che ogni calciante individua un avversario e inizia con quello uno scontro a suon di cazzotti oppure di prese in stile lotta grecoromana. Il campo è dunque popolato da pochi calcianti che riescono a muoversi e a passarsi la palla e da numerosi gruppi laocoontici di lottatori polverosi e non di rado sanguinolenti, che in quella posizione passano spesso tutta la durata della partita. Scopo del gioco è quello di segnare più "cacce" della squadra avversaria, gettando la palla oltre la balaustra che delimita la parte di campo difesa dai difensori e dagli "sconciatori" avversari.

Il film di Impiglia e Perotti porta lo spettatore in questo mondo, a metà tra l'antico rito tribale e l'attrazione per turisti internazionali, anche se gli spettatori più interessati e appassionati sono gli stessi fiorentini. Gli autori del film prendono quattro personaggi - uno per ogni squadra - per far capire agli spettatori qualcosa di questo mondo non molto conosciuto. Colpisce, in particolar modo, il personaggio di Gabrio Maionchi, un brillante grafico, che sente prepotente il richiamo del calcio in costume, laddove può dare sfogo a quella che lui stesso definisce la parte oscura della propria personalità, sfogando la violenza che anche a chi lo conosce come collega di lavoro è sempre sfuggita quale tratto distintivo del suo carattere: e peraltro viene dato risalto ai suoi genitori, che non capiscono questa passione di Gabrio, mentre l'ex moglie lo definisce sbrigativamente «un grullo».

E la violenza è un tema che serpeggia lungo tutto questo film, perché il "gioco" denominato calcio in costume, che nel nome richiama un fenomeno culturale, quasi leggiadro o lezioso, ha la violenza come elemento intrinseco ed ineliminabile. Che è anche elemento (per così dire) accettabile, purché sia legato e finalizzato al gioco: non come avvenne durante la manifestazione del 2006, quando la palla scomparve subito dal campo e bianchi e azzurri rimasero sul terreno di gioco a darsele di santa ragione. Quell'anno la competizione fu annullata e così anche l'anno successivo. Dopo lunghe ed estenuanti discussioni, le autorità fiorentine hanno tentato di rifondare il gioco su nuove basi e con nuove regole, per esempio vietando di partecipare a chi abbia compiuto i quarant'anni, in modo da evitare faide che si rinnovavano di anno in anno. Un segmento del film è proprio incentrato su questo aspetto: i verdi, per esempio, guidati dal già citato Gianluca Lapi, si rifiutano di scendere in campo per protesta contro le nuove regole, mentre gli azzurri rischiano di non poter giocare per mancanza di calcianti e devono schierare una squadra giovane ed inesperta. Tra i bianchi, si assiste al passaggio di consegne tra un padre non più in età e il figlio poco più che ventenne: il primo passerà a fare l'alfiere e anche in quelle vesti riuscirà ad entrare in qualche modo nell'agone.

Chi si mette a guardare questo film sappia che qui non siamo nella Firenze salotto a cielo aperto, né nella città tanto cara alle mature signore d'origine britannica infatuate dell'arte: gli umori sono quelli della Firenze proletaria per vocazione e sanguigna per natura e tradizione, quella delle passioni e degli odi potentissimi, che si sfogano, forse con qualche esagerazione, due o tre volte all'anno in Piazza Santa Croce.

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