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Una donna - A Woman

Regia di Giada Colagrande vedi scheda film

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La recensione su Una donna - A Woman

di OGM
4 stelle

“Allora, lo stai rendendo felice? – Ci sto lavorando. – Che razza di risposta è?”  Appunto. È più che naturale chiederselo, di fronte ad una sceneggiatura che si voltola nella banalità con sottile compiacimento, e perfino con un pizzico di infantile malizia. Giada Colagrande – consorte pescarese di Willem Dafoe – confonde la raffinatezza con una forma di pretestuosa rarefazione applicata alla futilità: un meccanismo in grado di nobilitare ogni sciocchezza, col semplice trucco di renderla priva di intonazione e pronunciarla al rallentatore.  Opere come questa si condannano da sé: la loro vocazione al minimalismo coincide infatti con una voluttà suicida con cui si lanciano nelle braccia del vuoto, rinunciando ad ogni spessore nel timore di appesantire l’eterea inconsistenza dell’assenza di pensiero.  La storia avanza in punta di piedi, rispettosa del sonno della mente,  recitando a fior di labbra riassunti smozzicati del già detto, e sbocconcellando graziosamente luoghi comuni e frasi fatte da romanzetto rosa. Un ritratto femminile, per quanto convenzionale, non può ridursi ad una caricatura dell’eroina romantica, prigioniera dei suoi sogni surreali e di un’oscura passione per uno sconosciuto di cui si è innamorata al primo sguardo. Lui è il classico uomo tanto fatale quanto sbagliato, un tenebroso scrittore molto più grande di lei, rimasto vedovo in  circostanze misteriose. Lei, che di nome fa Julie, è la tipica ragazza indifesa, facile preda degli incanti più artificiosi, come quelli prodotti dalla letteratura popolare. I due si incontrano  in una libreria di New York, durante la presentazione dell’ultima creazione di lui, Max Oliver: il racconto nostalgico di una felicità perduta, stroncata da una morte precoce ed inspiegabile. La sua prima moglie, la ballerina di tango Lucia Giordano, si trasforma subito nel fantasma che aleggerà sulla relazione tra Max e July, e che troverà dimora stabile, oltre che nella testa della giovane, nella cantina della villa salentina nella quale la coppia andrà ad abitare.  L’accecante sole del Sud si mescola quindi con le ombre del passato, che, tuttavia, sembrano sinistre e fanno paura soltanto a chi non sa distinguere il genio provocatore ed indagatore di Marcel Proust dalle suggestioni a buon mercato di un bestseller sentimentale. Bastano pochi minuti perché la pomposità del discorso – sottintesa ma insistente – stanchi lo spettatore, oberato dalla fatica di trovare un appiglio di senso nel noncurante svolazzo di sospirose allusioni e rudimentali ambiguità.  A Woman vorrebbe forse condurci per mano dentro mondi fantastici, in cui tutto è meravigliosamente chiaro, senza bisogno di tante spiegazioni: purtroppo, invece, ci ritroviamo presto,  soli e sperduti, in mezzo ad una strada deserta ed inondata di noia.  

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