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The Ward. Il reparto

Regia di John Carpenter vedi scheda film

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callme Snake

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La recensione su The Ward. Il reparto

di callme Snake
10 stelle

Alla terza visione, The Ward mi si apre in tutto il suo splendore. Mi viene incontro e mi chiede di goderne prima ingenuamente e poi, se mi va, di farlo mio in un secondo (terzo, quarto) momento di riflessione. E se alla prima e seconda visione non ho potuto abbandonare del tutto il peso schiacciante e accecante delle aspettative, l'ansia da prestazione (e come non potrebbe essere, dopo dieci anni di assenza-astinenza dal grande schermo?), in questo splendido pomeriggio d'aprile mi sono lasciato andare alla narrazione, alla storia, ai (al) personaggi(o), accompagnato da movimenti di macchina che non (ri)scoprivo così belli da un decennio.
Come John Trent nel Seme della follia rido di gusto nella sala (semi)vuota, sgranocchiando popcorn, di fronte ad un horror che, ontologicamente (a posteriori), non ha morti ammazzati ma solo morti viventi ed una grande eroina. Non c'è bisogno né di sangue né di trovate particolarmente originali, ma solo delle solite 7 note combinate in una nuova partitura, fluidissima, elegantissima, che si inceppa raramente per via di una sceneggiatura un po' troppo verbosa e piuttosto convenzionale. Ma quanto è fuori moda The Ward? da quanto tempo non si vedeva un film così artigianale? forse da Shock di Bava, che pure gli somiglia. Carpenter ha ancora fiducia in noi, crede ancora negli spettarori, e dopo aver visto la sua ultima fatica, ricambio la fiducia con amore. Speriamo che anche il resto del pubblico ricambi.
Io sono di parte, poco da dire. E considererei The Ward un capolavoro anche solo per avermi fatto gioire di nuovo della semplicità delle sue componenti, dell'onestà senza pretese che si respira ad ogni fotogramma, del widescreen meraviglioso (ma non in Panavision, per la prima volta!), del piacere fisico che molte sequenze regalano (i titoli con le "fantasie" di alienati infrante in mille pezzi, l'arresto di Kristen, le ragazze che improvvisano una danza nel reparto, i carrelli nei corridoi...). Ma a scanso di equivoci, mi tufferò sotto la superficie, procedendo per impressioni, e lo farò partendo dalla superficie che più mi rimane impressa nella retina...

Kristen che fissa la casa bruciare e cosumarsi tra le fiamme è un'immagine potentissima, come Michael Meyers che osserva la sua vittima infilzata al muro, ciondolando la testa, come un bimbo che gioca con la morte, naturalmente e senza senso di colpa. Ancora una volta, è dietro la facciata di una perfetta abitazione del profondo Sud, o nel reparto sotterraneo di un istituto di cura mentale che si nasconde l'origine di qualcosa di mostruoso. In definitiva, è ancora dietro la maschera, nello specchio (quello del Signore del male e di Alice) che dobbiamo guardare per cercare delle risposte che forse non avremo mai e che, certamente, non ci saranno date da un'istituzione e le sue "cure sperimentali". Kristen brucia e abbatte un muro d'ipocrisia, in estasi, inconsapevolmente...è una ribelle, non ha nessuna intenzione di farsi "ridurre" e "ridimensionare" a piacimento...il cuore dello spettatore non può non battere con il suo, non può non vivere con apprensione i piccoli eterni classicissimi momenti della sua rivolta (le pillole, gli infiniti tentativi di fuga...).
Ma Kristen è anche l'ennesima sorella di Micheal Myers e Laurie Strode (il film è ambientato nel 1966, quando il primo già era in manicomio e la seconda veniva accudita da una famiglia adottiva), partorita della stessa madre (l'America perbenista di quegli anni), rovinata anch'essa dalla perversione di un Male assoluto, trascendente (e tuttavia capace di incarnarsi in forme ben concrete), allevata poi dalla stessa rigida nutrice (le istituzioni, il reparto). Solo che questa volta è reso esplicito quello che era implicito in Halloween: ovvero che Laurie/Kristen è Michael, e Micheal è loro. L'uno uccide con innocenza, le altre si ribellano con colpevole ingnoranza, vittime di una realtà che non sanno districare (e in questo sono delle vere eroine tragiche). Tuttavia sono legati, nella nascita e nella morte, abbracciati nella caduta che li aspetta come nella resurrezione.

Carpenter vola sul nido del cuculo e ci fa la grazia con un'altra grande lezione di etica, professionale ed umana: se Inception ci rappresenta l'anima come un meccanismo di scatole cinesi navigabili in cui ci si può anche perdere (la furbata della trottola), The Ward nega la possibilità di "inscatolare" l'umano. Non c'è spiegazione scientifica che regga, e la pippa finale del medico, in tutto il suo positivismo, è tanto irritante quanto ridicola (il richiamo a Psycho è esplicito e sensato). Non c'è prova video che possa dimostrare e sigillare la "guarigione" (normalizzazione, neutralizzazione) di Kristen (si noti l'uso, ripeto, positivista della cinecamera da parte del medico: ma Carpenter sembra dirci che non è compito del cinema "spiegare la realtà" razionalmente, che non c'è "una" realtà da spiegare se non uccidendola).
Anche il "mostro" del film, totalmente fuori moda,nel suo décor poco credibile persino per un horror (orgogliosamente) a basso budget, tutto mossette e apparizioni improvvise, è tuttavia un mostro dalle radici molto umane. Se Kristen è l'incarnazione stessa della lotta per la sopravvivenza, dell'umanità che combatte per non farsi ingabbiare da chi vorrebbe eliminare la varietà, le differenze e rendere tutti uguali, tutti figli degli stessi baccelloni e consumatori degli stessi programmi tv, il vero mostro è proprio quella parte d'umanità che si sente in diritto di eliminare e controllare il diverso, molto più mostruosa del lato oscuro che tutti abbiamo e con cui dobbiamo prima o poi confrontarci (ed è sempre pronto a saltar fuori dallo specchio...).
Per chiudere tornando al cinema: in un panorama di film-clone, almeno The Ward (proprio come il film fratello Shutter Island), pur nelle sue imperfezioni o piccolezze, vive di poesia e della sua spudorata, classicissima diversità. Non ditemi che è poco.

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