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Vasco

Regia di Sébastien Laudenbach vedi scheda film

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La recensione su Vasco

di OGM
8 stelle

L’orizzonte è sempre oltre la nostra portata. Indica la direzione verso cui continuare a correre, per imparare e crescere, e per consentire alla vita di andare avanti. La sua inarrivabilità è il senso ultimo della nostra esistenza. Vasco si affanna senza sosta, per raggiungere quel traguardo, che a volte è troppo vicino ed incombente, come il corpo di una donna, oppure troppo lontano ed indistinto, come il miraggio della libertà, della gloria, dell’affermazione di un sé che non intende porsi limiti. Questo cortometraggio d’animazione sfuma i contorni della figura umana per mostrarne la vaga continuità con l’aria circostante, anch’essa indefinita nella forma, e soffusa nei toni chiaroscuri: l’intero mondo è una realtà impalpabile, che si lascia plasmare dalle suggestioni erotiche, oniriche, idealistiche. La passione è un’ebbrezza sinistra, come quella causata dall’illusione di aver sconfitto un nemico dall’aspetto mostruoso, e di poter essere non meno crudele e assetato di sangue. La carne assume la stessa smisurata estensione dei sogni, insieme alla magica malleabilità del mito, come una divinità capace di prendere le sembianze di altre creature, al fine di sedurre, conquistare, vincere. Sébastien Laudenbach propone una versione tormentata e frustrante della concezione dell’individuo come parte di un tutto: lo ritrae come un goccia tremolante ed inquieta, immersa in un liquido turbolento, il cui disordinato dinamismo funge da motore delle emozioni. La sua forza centrifuga simula l’esistenza di un centro di gravità, di una potenza superiore che ci chiama a sé attirandoci verso una presunta finalità trascendente. La meta  non esiste, però è irresistibile la sua proiezione nella nostra mente: una linea sottile come un graffio sul vetro, ma luminosa come la scia di una cometa. Lanciarsi  al suo inseguimento equivale a partecipare alla sua dissoluzione, che la riduce a pura luce, puro pensiero: una metamorfosi che realizza l’impossibile perfezione dell’essere, mediante la sua fusione col nulla. In quel momento il nero scompare, e smette, una volta per tutte, di tracciare confini invalicabili e precisi contorni di identità: ciò che resta è un bianco assoluto, appena rigato da una tenue fessura, che è l’inizio e la fine del nostro universo. Vasco è la poesia di un ciclo vitale che  gira su stesso, e si chiude sull’origine del tempo: un cerchio che solo se visto dalla nostra ristretta prospettiva appare come una traiettoria rettilinea, meravigliosamente aperta verso l’infinito.

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