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Exit Through the Gift Shop

Regia di Bansky vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Exit Through the Gift Shop

di ed wood
8 stelle

Uno dei “documentari” più strani, sorprendenti, ambigui, avvincenti, geniali che abbia mai visto. All’inizio del film, l’autore (lo street artist Bansky) afferma che “Exit through the gift shop” ha una sua morale; alla fine, però, non ne è più così sicuro. Il “suo” film infatti è come un anello di Moebius, una figura paradossale dalla quale è impossibile capire dove finisca il lato interno e dove cominci l’esterno. Chi è il vero autore di “Exit through the gift shop” e chi il protagonista? Chi è il soggetto e chi l’oggetto? Chi dirige chi? Chi sfrutta chi? All’inizio pare un documentario sulla Street Art, realizzato da un certo Thierry Guetta, commerciante con la mania compulsiva di riprendere ed immortalare con la sua cinepresa tutto ciò che vede, senza però l’esigenza di dover riguardare ed editare la mole di materiale ripreso. Ma a metà film, accade qualcosa che capovolge completamente l’identità dei personaggi-autori in gioco e, con essa, la prospettiva dello spettatore: una sorta di “scambio alla pari” fra il video-maker dilettante Thierry, del tutto privo di qualsiasi competenza tecnico-artistica, e Bansky, misterioso e talentuoso street artist. Quest’ultimo si rende conto che Thierry non ha alcuna intenzione di montare tutto ciò che ha documentato con la cinepresa sull’intrigante mondo della Street Art, per farne un documentario, e allora gli chiede di affidargli quel materiale in modo che sia Bansky stesso ad utilizzarlo. Contemporaneamente, Bansky incoraggia Thierry a dedicarsi anch’egli alla Street Art: è così che Thierry vende il suo negozio di regali, ipoteca la casa, investe tutto ciò che ha in un maxi-studio ingaggiando una decina di street artist, che realizzano le sue mediocri idee (una scopiazzatura della pop art warholiana). Risultato: sold-out alla prima esposizione, fan in delirio, opere vendute a prezzi folli, Thierry milionario in men che non si dica e, soprattutto, la Street Art sdoganata alla masse, dopo aver passato anni ad essere tacciata di mero vandalismo. “Tutta la cosiddetta “arte” si basa sul lavaggio del cervello” ammette lo stesso Thierry, alias Mister BrainWash, per il disappunto e lo spaesamento di Bansky e degli altri, veri, street artist. Al di là del valore intrinseco del film come testimonianza della nascita di una movimento artistico e della sua ineluttabile riduzione a merce, sulla scorta di un’amara e beffarda riflessione su come il Sistema inglobi e tragga profitto da qualsiasi forma di espressione “eversiva”, questo documentario pone in essere riflessioni abissali sul senso dell’arte e della manipolazione: non solo quella del talento, ma anche quella dello sguardo. La vicenda infatti nasce dalla mania patologica di Thierry per l’immagine in movimento: tutto ciò che gira è il materiale grezzo per un eventuale opera d’arte (un documentario sulla Street Art), frutto caotico di uno sguardo vorace. A Thierry tuttavia manca il talento e l’urgenza di trasformare la materia prima in un’opera compiuta: quel talento che invece dimostrerà di avere, sorprendentemente, Bansky, molto dotato non solo nell’arte “decorativa” (di strada) dunque, ma altrettanto in quella audio-visiva (visto il brillante esito di “Exit Through The Gift Shop”). Bansky, sfruttando le idee e le immagini di Thierry, scopre di avere un talento sconosciuto, quello per il cinema. Allo stesso modo, Thierry, sfruttando le idee e le immagini di Bansky, scopre anch’egli di avere un talento redditizio per l’arte plastico-figurativa, per quanto ruffiana e dozzinale. Un documentario multi-strato, leggibile a vari livelli: informativo, estetico, filosofico…Un vicenda paradossale (fra l’altro narrata con una tensione, uno sviluppo drammaturgico, un’attenzione ai caratteri e una escalation psicologica degna di un film di finzione) che, proprio nel momento in cui intende esaltare il valore anche morale e politico della creazione artistica, ne distrugge fatalmente il significato, minandone l'onestà intellettuale e l'autenticità espressiva, eleggendo quindi casualità ed illusione a vettori privilegiati di giudizi e sentimenti.

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