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My Son, My Son, What Have Ye Done

Regia di Werner Herzog vedi scheda film

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La recensione su My Son, My Son, What Have Ye Done

di ROTOTOM
6 stelle

Brad, ex promessa del basket colto da manie persecutorie e visioni mistiche, affetta sua madre con una spada da samurai esattamente come il testo della tragedia greca che avrebbe dovuto interpretare prevedeva nel copione. All’arrivo della polizia si barrica in casa con due ostaggi.

Tratto da un fatto vero il film di Werner Herzog, girato prima de Il cattivo tenente: ultima missione New Orleans, è uno scherzo sulfureo che risente delle influenze stilistiche di David Lynch, qui produttore.

Interpretato da Cloe Sevigny, Willem Dafoe, Udo Kier, Brad Dourif e soprattutto da Michael Shannon, evidentemente abituato alle parti da fuori di testa vista la sua performance qualche anno fa in un film minore di Friedkin, uscito direttamenet in dvd, BUG altra divagazione sul tema della paranoia.

Grazie ai flashback scopriamo le ultime ore di Brad così come sono raccontate dalla sua fidanzata e dal suo regista teatrale all’ispettore che tiene sotto osservazione la casa in cui si è perpetrato l’omicidio.

Il dubbio che instilla Herzog è: e se le sconclusionate farneticazioni mistiche di Brad fossero vere, alla fine?  Il regista che sempre nel suo cinema ha contrapposto la natura  come forza generatrice e distruttrice nei confronti dell’uomo, semina indizi su una natura sospesa tra follia e grottesco misticismo. Che la natura abbia veramente dato un dono ad un uomo, e che questi sia effettivamente la reincarnazione di un dio?  O la conversione lampo in mussulmano di nome Farouk, l’implodere dentro le proprie convinzioni sono solo effetto della madre, iperprotettiva e francamente rompicoglioni ? Domande che trovano risposte blande, o domande blande che attendono risposte che non verranno mai. Il mondo descritto da Herzog è sfondato alla base, nei suoi pilastri fondamentali, la ragione che erige strutture sostiene la tesi del miracolo e poi collassa durante la liberazione degli ostaggi: due fenicotteri rosa.

La preveggenza che solleverebbe molte magagne a tutti quanti e che impedisce a Brad di buttarsi in un vorticoso rafting nel quale tutti i compagni moriranno è vera. O è solo un immenso culo. Oppure l’uomo quando sprofonda nella follia, o in quella che noi chiamiamo follia, apre porte della percezione invise ai retti umani razionali per comprendere il linguaggio della natura e salvarsi. Una palla da basket lasciata ad un bambino che verrà a prenderla e forse sarà toccato dal talento del pazzo, è il fiore urbano lasciato a macerare in una collina ai bordi di una superstrada.

Il picchiatello fa paura e tenerezza, la costruzione del film è divertente, incompiuta ovviamente ma lascia un retrogusto amaro che sorprende. L’ironia che pervade tutto il film è dichiarata ed elemento caratteristico di un onirismo che non si eleva mai , per scelta, dalle paturnie psicologiche del protagonista per divenire vera realtà parallela, piuttosto è chiaro – quasi – come il ragazzo sconvolto dalla follia attinga dalla realtà per creare uno schermo di difesa nei confronti di un mondo che gli è completamente alieno.

Supposizioni comunque. Ciò che rimane in sospeso è una chiara risoluzione e un coerente sviluppo delle faccende psicotiche di Brad, d'altronde da una coppia come Herzog e Lynch non ci si poteva aspettare qualcosa di lineare e pedestre.

My son, my son, what have ye done è un oggetto da maneggiare con cura e senza la pretesa di capirne razionalmente il senso. Più che altro va percepito con un po’ di follia, accordandosi quindi alla personalità dell’omicida e forse è proprio questo il senso ultimo del film, di questo scherzo sulfureo e visionario.

 

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