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Invictus. L'invincibile

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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La recensione su Invictus. L'invincibile

di laulilla
9 stelle

I miei auguri al vecchio Clint Eastwood, commentando il film che, in questi giorni difficili per l'Europa e per gli Stati Uniti, si presta utilmente alla riflessione degli uomini di buona volontà sul senso della democrazia e del potere. Grazie, Clint!

  

Il film si apre presentando la difficile situazione del Sud Africa dopo la vittoria elettorale di Nelson Mandela: le troppe umiliazioni dei neri, soggetti alla ferocia della segregazione disumana dell'Apartheid, non potevano essere cancellate con un colpo di spugna, né era possibile permettere che le paure dei bianchi (minoritari, ma pur sempre in posizioni di vantaggio economico e “militare”, essendo la polizia e l’esercito schierati con loro) creassero un clima di tensione e di guerra civile, che avrebbe riportato all’indietro l’orologio della storia.

Il compito che si era prefisso il popolare Madiba (nel film è interpretato dall’ottimo Morgan Freeman) non poteva che essere quello di costruire la nazione, rendendola Arcobaleno, cioè colorata di tutti i colori della pelle degli uomini e delle donne che ci vivevano.


La prima parte del film si incentra perciò sulla riflessione politica di Mandela, che, cosciente della sua solitudine, assumeva l’enorme responsabilità di realizzare un progetto di pacificazione dei popoli sudafricani, utilizzando i mezzi che di volta in volta si presentavano come i più adatti allo scopo. Un’apertura di credito era stata offerta, tra mille diffidenze dei suoi seguaci, agli esperti guardiani bianchi afrikaner, che avrebbero avuto cura della sua incolumità.


Allo sport del rugby, invece, popolarissimo solo fra i bianchi, Madiba affidava la missione quasi impossibile di creare un tifo “trasversale”, che cancellasse gli odi, permettendo a tutti di identificarsi nei colori verde e oro della squadra degli Springboks.

La scommessa difficile sarebbe stata vinta, grazie anche all’intelligenza del capitano della compagine, François Pienaar (Matt Damon), che avrebbe guidato i suoi compagni in giro per il Sudafrica, a conquistare la simpatia e il tifo dei giovani neri e che avrebbe preso coscienza dell’ingiustizia della carcerazione del vecchio Presidente, visitando l’angusta prigione che per trent’anni l’aveva rinchiuso, senza riuscire tuttavia a piegarne la fierezza di combattente.

 

Erano finalmente cadute le barriere di diffidenza: la squadra, su cui nessuno avrebbe puntato, si sarebbe affermata nel campionato del mondo, mandando in visibilio le folle di bianchi e di neri, grazie a un finale di partita giocato con la testa, col corpo, come si addice a uno sport “da selvaggi”, ma soprattutto col cuore.
La seconda parte del film, che è la più spettacolare, ma che appare talvolta un po’ viziata da retorica apologetica, ci descrive, appunto, il ritrovato orgoglio della squadra, le azioni incalzanti dei giocatori, le emozioni collettive delle folle.


Molto interessante è, tuttavia, il film nel suo complesso, in cui è possibile riconoscere il cuore e l’anima del vecchio Clint Eastwood (ottantenne allora!), soprattutto nella prima parte, vera riflessione sui problemi del potere, sul consenso che continuamente va riconquistato (perché in ogni democrazia continuamente viene messo alla prova), e sul lavoro politico diretto a risolvere problemi di tutti, essendo il governo rappresentante dell’intero paese e non della sola parte, sia pure maggioritaria, che lo ha eletto.
Come ho detto, Morgan Freeman interpreta magnificamente, da par suo, il vecchio Madiba, ma tutti gli attori sono all’altezza del loro ruolo.

 

 

 

 

 

 

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