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Capitalism: a love story

Regia di Michael Moore vedi scheda film

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La recensione su Capitalism: a love story

di supadany
8 stelle

VOTO : 6/7.

L’America, anzi l’1% degli americani, continua purtroppo a fornire a Michael Moore tanti spunti di riflessione e, visto quanto è successo al sistema economico negli ultimi anni, la sua incursione nel mondo della finanza era assolutamente scontato e necessario per “chiudere” una lunga carrellata sugli aspetti che non funzionano in quella che è stata a lungo considerata la società più evoluta al mondo.

Qui il regista più disobbediente al sistema di pochi eletti ci mostra una serie di ingiustizie che hanno ridotto tante persone in povertà.

Protagoniste assolute le banche ed i loro ricchi conduttori, ma anche i politici in mano (si fa per dire visto che ci guadagnano gioco forza) alle lobby del potere tanto da regalare loro vagonate di milioni di dollari, soldi usati per ampliare i loro privilegi e non per salvare il popolo in difficoltà (pignoramenti e sfratti in primis).

In una lunga rappresentazione vengono rimarcate le differenze tra l’economia che fu e quella che è oggi, il diverso modo di gestire gli interessi, la necessità di aumentare sempre il profitto a discapito dei tempi e delle necessità sociali.

In mezzo, a variare ed arricchire il racconto, alcune digressioni fantasiose, dove si accentua il tono caustico, critico, ma non rassegnato nonostante tutto, come il paragone iniziale con l’antica Roma o lo spezzone con Gesù Cristo che parla come un capitalista.

Alla fine è anche vero che il regista non ci dice tante cose non note (per esempio l’intervento americano approvato in fretta e furia per salvare le banche), ma nei dettagli di contorno, che possono anche sembrare marginali ma non lo sono (vedi le polizze assicurative sulla salute dei dipendenti stipulate dalle grosse compagnie o gli stipendi sempre più risicati dei piloti d’aerei per esempio o le modalità ignobili di sfratto o le promesse fatte con l’inganno), regala ulteriori aspetti che arricchiscono il piatto.

Lo stesso vale anche per le speranze rimaste tali per un sistema globale (non è che il resto del mondo “evoluto” se la passi poi tanto meglio) dove le disparità sociali continuano a crescere, nonostante qualcuno (e vorrei vedere) continui a mostrarsi ottimista sulle possibilità di sviluppo del sistema economico.

Beh, fino a quando le cose andranno avanti in questo modo non ci sono tante speranze, ma come ci dice Moore, non è nascondendo la testa sotto la sabbia che si può sperare in qualcosa di migliore, occorre farsi sentire (ed anche qui ci porta alcuni piccoli ma emblematici esempi).

Dunque Moore si presta ad un’operazione necessaria utilizzando il suo stile, magari non sempre con estrema efficacia, ma sempre con decisione e volontà.

E se solo riuscisse a smuovere qualche coscienza in più questo sarebbe già un successo.

Su Michael Moore

VOTO : 6/7.
Lo stile è sempre quello, le sue ragioni assolutamente valide.

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