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The Informant!

Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film

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La recensione su The Informant!

di mc 5
10 stelle

Lo scorso weekend è stato uno di quelli da segnare sul calendario, dato che ha visto l'uscita in contemporanea di due fra le pellicole più attese (e più belle) della stagione, vale a dire gli ultimi lavori di Woody Allen e di Steven Soderbergh. "The informant!" è un film strepitoso, frutto dell'altrettanto strepitoso talento di Soderbergh, caso rarissimo di cineasta tanto eclettico quanto prolifico. Da "Traffic" a "Sex lies and videotapes", da "Bubble" a "Ocean's Eleven", fino agli ultimi due "Che", nella storia del Cinema si contano sulle dita di una mano registi che hanno saputo esplorare generi così diversi sfiorando ogni volta i vertici dell'eccellenza. E tocca riprendere l'aggettivo "strepitoso" a proposito della maiuscola performance di un Matt Damon che ci ha sorpreso un pò tutti con l'interpretazione più impegnativa e più complessa della sua carriera d'attore. Si parte subito con dei titoli di testa assai suggestivi nella loro grafica anni '70, peraltro sottolineati da un commento musicale che ho trovato tra i più esaltanti mai ascoltati al cinema. Il premio Oscar Marvin Hamlisch ha superato sè stesso, creando musiche indimenticabili, e un tappeto sonoro mantenuto in sottofondo per quasi tutto il film, in cui fanno capolino pianoforti jazz, organi hammond e sassofoni con un effetto godibilissimo. Ma prima ancora dei titoli di testa, appare una scritta tra il beffardo e il sornione che mette in guardia lo spettatore circa "la storia vera" da cui il film è tratto, e che termina con un ambiguo "beccatevi questo!". Che buontempone, vero, Mr. Soderbergh?! Ma in quel cartello è facile intuire anche una parodìa della disinvoltura con cui tanti cineasti oggi abusano della formuletta "da una storia vera". Per inciso, anche se il dettaglio non è che sia fondamentale, i titoli di testa ci annunciano George Clooney tra i produttori esecutivi. La cosa più originale del film, la più geniale e anticonvenzionale, è a mio avviso la scelta del tono usato dal regista, l'impostazione del film. Si tratta infatti di una vicenda di spionaggio industriale orchestrata dalla mente di un uomo seriamente vittima di disturbi psichici. Dunque sono evidenti i risvolti drammatici che attengono a un caso del genere. Eppure il registro che Soderbergh ha scelto di adottare è prossimo a quello della commedia, non sbracata, ma anzi col prevalere di sfumature malinconiche, oserei dire eleganti. In pratica, viene raccontata una vicenda maledettamente seria, ma vista in chiave leggera, dominata da umorismo che assume spesso i toni del paradossale e del grottesco. Insomma il genio di Soderbergh ha fatto "la cosa giusta", sortendo un film che appassiona lo spettatore con l'evolversi di eventi che lo inchiodano alla poltrona, ma anche deliziandolo con personaggi, volti e situazioni tutti stimolanti e mai banali. Al centro di tutto, un uomo che occupa una posizione di rilievo all'interno di una grande azienda agroalimentare. Questa persona -peraltro affetta da gravi disfunzioni bipolari, cioè quella patologia che comporta il brusco alternarsi di euforia e depressione- pensa di organizzare una colossale truffa della cui portata forse nemmeno si rende conto. Ma la cosa più clamorosa è osservare come Mark (questo il suo nome) pianifica le sue mosse scriteriate. E la faccenda è talmente complessa e stratificata che si stenta a credere si sia davvero sviluppata in quelle modalità. In pratica Mark, esibendo un apparente candore, partendo da un'alterazione al processo produttivo, chiama in causa l'intervento dell'FBI, si affida alla sua protezione e ne diviene segreto informatore ai danni dell'Azienda, ma contemporaneamente sta anche dalla parte della sua Azienda ai danni dell'FBI...e in questo accavallarsi di azioni contrastanti il buon Mark trova anche il modo di fregare un bel pò di soldi (sarà anche malato, ma mica è scemo, il ragazzo). Ma questo tenere il piede in due staffe ad un certo punto comporta troppo stress per la sua personalità già provata dalla malattia e i nodi vengono al pettine. Povero Mark, fa davvero pena quando i suoi problemi psichici vengono alla luce in tutta la loro drammatica evidenza, e ci appare come un essere tremendamente solo contro cui si sta per ritorcere tutta la montagna di casini che lui stesso aveva creato. E il bello è che lui, come un animale ferito che si dibatte negli ultimi spasmi, fino alla fine ci prova a raccontare balle inventandosi di sana pianta fior di scenari fasulli, lui ci prova sempre, rimediandoci figure davvero umilianti. Alla fine smuove un sentimento di pietà, quest'uomo solo e disturbato, peraltro sempre appoggiato dalla moglie (e io mica ho capito se questa donna lo sorregge sempre perchè guidata dall'amore o perchè è anche un pò stupida...). Il cast. Detto di un gigantesco Matt Damon quasi reso irriconoscibile dal trucco e dal sovrappeso, da segnalare un enorme Scott Pakula, caratterista tra i più bravi e noti di Hollywood.   Temo che la difficile collocazione di genere non gioverà al film e tutto fa presagire (ahimè) aria di flop. Alla proiezione cui ho assistito, infatti, eravamo in pochissimi; ma quelli che c'erano si sono goduti il film alla grande: in sala non volava una mosca, tutti "presi" dalla vicenda e tutti molto  "partecipi". Consigliatissimo. Siamo dalle parti del "quasi capolavoro". Ma la cosa più clamorosa ci arriva dai titoli di coda, dai quali veniamo informati che il VERO Mark, dopo tutte le sue vicissitudini -che hanno compreso anche il carcere oltre, naturalmente, gli ospedali- attualmente occupa la carica di Capo Operativo di un'altra Azienda. Da non credere.
Voto: 10

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