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Coraline e la porta magica

Regia di Henry Selick vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Coraline e la porta magica

di BlackMilkFox
9 stelle

Henry Selick sembrerebbe quasi attingere a piene mani dall’immaginario burtoniano ma, più che una copia del già visto, il suo inquietante ma divertentissimo Coraline non è che un’opera dai soli temi speculari a quelli di Nightmare Before Christmas. Selick sforna un vero capolavoro in stop motion, una storia macabra dalle tinte propriamente horror capace che ha sicuramente più “incubo” dell’opera condivisa con burton: Coraline, la strega dell’acqua dai rilucenti capelli blu e dall’impermeabile giallo (l’unica punta di colore in un mondo avvolto dal grigiume, e non solo come metafora: il suo mondo è letteralmente grigio), troverà il suo pozzo magico non in quello che viene presentato in una delle prime scene bensì nella stessa cameretta in cui dorme.
Naturalmente, Coraline non è una strega: si tratta di una bambina di 11 anni che si trasferisce nel Michigan con i suoi genitori, che sembrano sempre molto impegnati nel proprio lavoro, ignorando le richieste della figlia. Amareggiata, Coraline decide di passare il tempo esplorando in lungo e in largo la nuova casa, ma la sua perlustrazione si fermerà nel momento in cui scoprirà una strana porticina in una parete della sua stanza.

Non è molto chiaro come funzioni questa porta: ciò che sappiamo, è che al di là di essa si scoprirà un mondo alternativo, un mondo dei doppi, dove i suoi genitori (straordinariamente affettuosi, carini e gentili) assecondano ogni sua richiesta e dove ogni suo desiderio si materializza come se fosse stato già deciso da tempo. Non importa che mamma e papà abbiano dei bottoni cuciti al posto degli occhi: sono tutti più buoni rispetto al mondo reale, e tutto è più bello. Tutto è una copia migliore della versione originale.

La porta che si apre solo a Coraline sembra rappresentare un po’ il classico oggetto che i genitori non riescono mai a vedere, ma che agli occhi dei bambini e dello spettatore esiste indiscutibilmente. Sappiamo anche che è solo quando scende la notte che questo portale sembra attivarsi da solo e invitare Coraline a varcarne la soglia, come fosse un sogno. A gattoni, la “streghetta” attraversa un tunnel steroscopico dalla luce pulsante e dai toni blu e violetti, e si ritrova catapultata nel mondo degli occhi a bottone. Ad attenderla dall’altra parte v’è una “vera madre” migliore, un “vero padre” che suona il piano, una “vera famiglia” pronta a lusingarla con la perfezione di cui fa sfoggio, un mondo fatto di luce e colori meravigliosi (e cene squisite): il solo passaggio necessario a chiudere l’offerta, quella di restare per sempre nella nuova famiglia, comporta che anche Coraline porti due bottoni al posto dei suoi occhi.

Coraline non si sente ferita dall’aver scoperto di non poter essere accettata per quel che è, e nemmeno si sente pugnalata dal castello di inganno che vede crollare in un secondo:  ciò che muove le sue seguenti reazioni è primordiale timore, paura del dolore e dell’ ignoto. E’ atterrita dalla richiesta (posta più come velata pretesa), quindi scatena l’ira della famiglia dapprima incantevole, che si tramuta nel suo peggior incubo persecutore, scatenante di una serie di eventi e rivelazioni di verità nascoste del passato. Coraline si muove nei panni di una Alice un po’ meno impacciata, ma il suo mondo non è frutto di un sogno né di un’ alterazione della realtà: è esattamente una realtà-altra.
Se la vediamo fuggire dal mondo reale, quello tinto in scala cromatica di grigi che ben si combina alla vita monocorde dei personaggi al suo interno, allo stesso modo la vediamo correre via da quella dimensione bellissima che si rivelerà essere stata solo un abbaglio. Una dimensione reale e irreale allo stesso tempo, che ha le stesse caratteristiche di un sogno (il “residuo” che il gatto rappresenta nella realtà diventa, qui, una vera e propria guida, ed è un esempio fra tanti) ma che, in fin dei conti, non è possibile identificare per quel che realmente è.
E se Selick, nella prima metà della sua fiaba, mantiene un tono contenuto avvalendosi di un preciso equilibrio tra atmosfere sinistre e oniriche e un astuto gioco di doppi e ripetizioni, nella seconda parte della fiaba lascia ampio respiro alla sua vena più creativa: guizzi di colore che danno vita a costruzioni e distruzioni (la casa e il giardino che compaiono e scompaiono),  trasformazioni e allucinazioni (la mamma che si trasforma in aracnide), fare-disfare (ambienti della casa stessa che si scompongono divenendo tele mortali).
Come l’immaginario collettivo impone, la fiaba ha un lieto fine: la bambina trova l’ amore dei genitori nella loro protezione, e non ha bisogno di nient’altro. Eppure, “Coraline” non mostra la benché minima consolazione per il pubblico adulto, quello maggiormente in grado di assimilare il suo terrore psicologico ma anche quello dei genitori, descritti come figure schizofreniche incapaci di gestire una totale indifferenza a un’ assoluta condiscendenza che, in seguito, li porterà ad applicare un’ autorità  smisuratamente proibitiva e pericolosa. 

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