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Le cercle de l'haine

Regia di Xavier Mauranne vedi scheda film

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La recensione su Le cercle de l'haine

di joseba
6 stelle

Docufiction concepita da tre membri del gruppo rap "La Brigade" (Doc. K, Frédo et K.Fear, autori, interpreti e cosceneggiatori). Siccome ho trovato una critica esaustiva e molto puntuale firmata Frédérik Kapler, mi è sembrato ragionevole tradurla liberamente e metterla a disposizione di chi vuole sapere qualcosa su questo mediometraggio (70') del 2003 che, insieme a "Ma 6-T va crack-er" (1996) di Jean-François Richet, è stato incredibilmente accusato di essere uno dei fattori scatenanti delle sommosse del 2005 nelle banlieues francesi (cfr. scheda su Wikipedia). "Le cercle de la haine" è una fiction con la propensione all'affresco sociologico ispirata alla realtà. Il film traccia il percorso di Kody, Speedy e Cheick, giovani dei quartieri "sensibili", che usano la violenza come principale modalità di espressione, convinti che questa sia per loro il solo modo di guadagnare il rispetto in una società che li ha definitivamente esclusi. Ma, contrariamente alle idee ricevute, questa violenza non è gratuita, è il frutto di un'eredità storica pesante da assumere. Solo che a forza di voler essere gli unici padroni di questa violenza nel loro territorio, i tre vengono risucchiati in un'escalation che finisce per ritorcersi contro di loro. "Le cercle de la haine" riposa su un concetto inedito in Francia nella sua forma. Sostanzialmente affonda lo sguardo nella violenza della società francese, le sue cause e i suoi effetti. Il film si compone di una fiction intervallata da video inediti de "La Brigade" e da interventi di molte personalità del rap francese, nonché di qualche rapper statunitense. Documentario shock, un po' alla maniera delle numerose trasmissioni che hanno scatenato polemiche, salvo che stavolta i committenti hanno motivi più lodevoli e non fanno ricorso all'audimat (corrispondente francese dell'auditel, ndt) e al sensazionale, ma vogliono soltanto prevenire e sensibilizzare. Alcuni non comprenderanno gli obiettivi e non vedranno nel film che un atto gratuito. Oltre alle affermazioni che sono già state ripetute infinite volte - tipo che la violenza non è solo quella degli spari o che la violenza affonda le radici nella società, ecc. - ci si rende bene conto del disagio che esiste nel tessuto sociale francese. Senza entrare nel dibattito su chi ha ragione e chi torto - i giovani che sfasciano e degradano tutto o il governo che non reagisce e non si impegna abbastanza - una cosa è certa: il disagio esiste e si ingrandirà se non lo si combatte al più presto. La piccola fiction tenta di riferire come la violenza genera violenza e come ciascuna offesa ne produce un'altra più violenta, coinvolgendo persino gli amici innocenti. E' un punto di vista tanto semplice quanto realistico. Si osserva una grande coerenza nei discorsi dei diversi artisti interpellati. Tutti constatano la stessa cosa sull'evoluzione di questa violenza urbana negli ultimi anni. Paradossalmente, sono i musicisti americani (esposti ad una violenza ben più pronunciata e letale di quella francese) che si rivelano i più riflessivi e "pacifisti" - è d'altra parte vero che la scelta degli artisti in rapporto a questa visione delle cose (Afu-Ra, Juju dei Beatnuts, uno dei membri dei Dead Prez) sono tutti dei rapper piuttosto impegnati e lontani dal gangsta-rap. L'incedere del reportage è logico: la constatazione. Attualmente la violenza è onnipresente nella nostra società. Poi vengono le cause probabili, evocate: la società stessa sempre più violenta, i punti di riferimento sempre meno presenti per le nuove generazioni... Queste cause si trasformano talvolta in scuse che non giustificano gli atti commessi e che nascondono una parte di realtà. Infine arriva l'appello che vogliono lanciare gli istigatori del progetto: occorre fermarsi e non entrare nel famigerato cerchio dell'odio. Tutto ciò può sembrare moralizzatore, ma non lo è nel modo in cui è presentato nel film. Non si tratta di una pubblicità contro la violenza (...), ma di un tentativo di sensibilizzazione rispetto a ciò che succede e a come evolveranno le cose se non sopraggiungerà un presa di coscienza collettiva. La fiction non è che un pretesto per introdurre i temi evocati dagli artisti ed è per questo motivo che in alcuni momenti può apparire caricaturale. Da segnalare gli ineteressanti interventi di Dieudonné, dello storico Dee Nasty (precursore del movimento Hip hop) e l'intervento dei Nubians. Senza dimenticare i clip de La Brigade, inediti e perfettamente integrati nella finzione. I testi sono ben scritti e sostengono le idee sviluppate dagli artisti coinvolti nell'operazione. Concetto innovativo e progetto riuscito per i tre membri del collettivo "La Brigade". Alcune idee o frasi significative: - " Chaque société hérite de la jeunesse qu'elle mérite"; - " Un chien ne peut pas faire naître des chats"; - " What goes around come around" (un po' l'equivalente di "chi semina vento raccoglie tempesta"); - " If you live by the gun, you die by the gun" (Si tu vis grâce à une arme, tu meurs à cause d'une arme). Detto con parole mie, "Le cercle de la haine" non è certo un film imprescindibile, sia negli assunti (platealmente banalotti e inconsistenti) che nella realizzazione (tra il cinéma-vérité e il wannabe cool), ma costituisce comunque una preziosa occasione per osservare le modalità di autorappresentazione di una realtà (quella delle cités parigine) che non gode certo di grande visibilità e favori nel cinema mainstream. La docufiction è divisa nettamente in due parti: nella prima a prevalere è la fiction, interpolata con i video della "Brigade" che amplificano a ritmo di hip hop (molto incalzante e incisivo) le vicende messe in scena (un'ordinaria storia di sconfinamento territoriale con conseguente spedizione punitiva e prevedibile rappresaglia che colpisce un innocente). Nella seconda, invece, ad imporsi è la formula del documentario, con una gragnola di dichiarazioni (ci sono anche i due Depardieu, Gérard e Guillaume) che non lasciano il tempo di prendere fiato ed appallano indicibilmente. Il finale per fortuna riserva un bellissimo pezzo ("Trop de démêlées"), che scioglie la verbosità in un flusso di irresistibile dolcezza.

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