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La terra degli uomini rossi

Regia di Marco Bechis vedi scheda film

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La recensione su La terra degli uomini rossi

di ROTOTOM
2 stelle

Non vedevo un film così brutto da Rapa Nui , 1994. Marco Bechis regista di film necessari, film di impegno civile, abbraccia con trasporto la causa degli indio del mato grosso sradicati dalla loro terra e costretti a vivere al margine della società. Non inseriti nella modernità, cacciati dalla legittimità atavica della proprietà della terra, il nucleo di indio protagonisti della storia vive accampato tra un nastro d’asfalto e la recinzione di un campo arato per la semina della soia transgenica. I riti sciamanici consumati sul fuoco si frantumano quindi nel passaggio di grossi camion da una parte e il lavoro dei trattori dall’altra. Bello. Se fosse un documentario, cosa che invece non è. C’è un ragazzo che sogna il futuro e lo sciamano lo investe della sua successione. Egli non deve abbandonarsi alle pulsioni adolescenziali per rimanere puro, invece copula in un paesaggio selvaggio con la figlia del fazendero, abituè della cannabis e motorizzata enduro. Bello se fosse Malik a dirigere, cosa che invece non è. Poi c’è Santamaria ficcato in una roulotte a non si sa fare che, il guardiano forse, che subisce il fascino selvaggio delle donne indio e copula con una di esse prima di farsi cacciare dalla tribù. Bello. Se fosse un film generazionale affetto da Muccinopatia tremens. Questo film non è niente, in realtà. Le vicende degli indios scorrono nell’indifferenza più totale confusi anch’essi tra l’esigenza di far conoscere la loro storia e il copione al quale sono sottoposti, smarriti tra fiction e documentario esattamente come sono smarriti tra strada a scorrimento veloce e campi da coltivare. E’ strano proprio che il soggetto filmico entri così in conflitto con la sua realizzazione. Senza una direzione da prendere il tutto rimane sospeso in un limbo di sterilità emotiva che non appassiona, non indigna, non commuove e non intriga. Estremamente discontinuo a livello stilistico, Bechis alterna pause senza pathos, a dialoghi improbabili quando non addirittura deliranti, per poi cadere nella trappola del thriller girato senza coerenza e senza passione. Avrebbe dovuto essere un documentario, avrebbe dovuto essere senza dialoghi, non avrebbe dovuto avere l’intreccio amoroso e la storia. L’impressione che se ne trae è di una troupe allo sbando che deve filmare qualcosa, senza sapere esattamente cosa. Il rischio di fare cinema necessario, cinema importante, è proprio di cadere nel film a tesi senza riuscire a sostenerla, filmare qualcosa che si ritiene importante al di là del film stesso. Il paradigma “è un tema importante, quindi il film è riuscito” molto spesso non trova corrispondenze, soprattutto quando la superficialità realizzativa diventa presunzione.Gli indios si estingueranno, esattamente come i nativi dell’isola di Pasqua. E la colpa è dei bianchi. Bechis compreso.

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