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Funny Games

Regia di Michael Haneke vedi scheda film

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La recensione su Funny Games

di kotrab
8 stelle

In genere non amo particolarmente i "rifacimenti" dei film, ma bisogna prendere atto di un fenomeno che ha preso piede da un pò di tempo e che pare essere addirittura un nuovo genere (che sebbene esista da molti decenni, infatti, mi pare abbia avuto ultimamente un incremento notevole): il remake, appunto. Apprezzai molto Psycho di Gus Van Sant e ora siamo di fronte al remake, identico o quasi, di un gran film di Haneke e per fortuna diretto da lui stesso: forse l'operazione avrà motivazioni commerciali e fame di notorietà, ma apre ancora a riflessioni sulla natura ambigua del cinema. Il remake è un atto d'amore verso il modello ma allo stesso tempo gli fa concorrenza, attira l'attenzione egoisticamente su di sé, può ammaliare il pubblico nella speranza che dedichi adeguata attenzione all'originale. Esiste la musica al quadrato, ossia la restituzione di una data composizione sotto spoglie più o meno simili, con variazioni, elaborazioni tonali, infinite metamorfosi ritmico-armoniche-melodiche o di strumentazione: l'anima di un tema musicale è sempre la stessa eppure ha sembianze sempre cangianti. Nel cinema si ha una restituzione il più possibile fedele al modello ma che nel suo farsi è sempre diversa, tanto più se ci sono attori diversi: è una illusione di identità semplicemente perché è nel presente. Come avviene per il film storico, il peso del presente determina il modo di vedere il passato parlando così soprattutto delle modalità interpretative del presente stesso. Ma forse sto divagando... Se facciamo riferimento inoltre alla considerazione di Pasolini secondo cui il cinema riproduce la realtà, la quale è essa stessa rappresentazione, avendo così una rappresentazione di secondo livello, possiamo dire che nel remake abbiamo una rappresentazione di terzo livello, cioè una rappresentazione di una rappresentazione di una rappresentazione (remake - film modello - realtà modello del modello e che riproduce se stessa lasciando intravedere l'Ente supremo).
Venendo a Funny Games U.S., l'esito è senz'altro eccellente, anche se la mia preferenza va certo al film del 1997, per via di una qualità più ordinaria dell'immagine che non si può riscontrare vedendo volti stranoti al grande pubblico. La tensione però prende comunque allo stomaco fin da quando entra in scena il primo degli aggressori, due bambocci capricciosi e giocherelloni, incarnazione della stupidità del male candida e abbagliante come il bianco dei guanti e dei vestiti, falsamente ingenui e campioni d'inganno e recitazione. Haneke riesce a restituire tutta la freddezza della violenza per il gusto di farla, con intensi piani-sequenza e con il non mostrato, concentrandosi sulle capacità dell'udito; oppure ricorre alla esibizione dell'artificio che invece di rassicurare lo spettatore sulla artificiosità delle immagini, lo rende sadicamente impotente, legato come uno dei personaggi. 8

Sulla colonna sonora

Georg Friedrich Handel, Pietro Mascagni, Wolfgang Amadeus Mozart, John Zorn.

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