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Trilogia su Aldo Moro

Regia di Aurelio Grimaldi vedi scheda film

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La recensione su Trilogia su Aldo Moro

di OGM
6 stelle

Se sarà luce sarà bellissimo. Sono le parole d’addio che Aldo Moro rivolge alla moglie, poco prima di essere ucciso. Aurelio Grimaldi le pone a titolo di questo capitolo della sua trilogia dedicata al sequestro e assassinio del presidente della Democrazia Cristiana. Un’opera che vuole raccontare l’altra verità: quella non ufficiale, non retorica, non dettata dall’emozione del momento e dalla situazione di emergenza. Forse l’idea di fondo è altrettanto falsata e preconcetta: la politica è una cosa sporca, come lo è anche la pratica della giustizia, quando si intreccia con la ragion di stato. È allora che tutti i soggetti coinvolti diventano farabutti per una buona causa: la stabilità del governo, la libertà del popolo, la sicurezza nazionale. Chi combatte è sempre colpevole, anche se in modo diverso. Chi si limita alla disonestà non si macchia le mani di sangue, mentre violento diviene soltanto colui che si immedesima fino in fondo nella missione che gli è stata assegnata: il poliziotto che difende il sistema, il brigatista che cerca di abbatterlo. In questo film si fronteggiano il terrorista che spara e il commissario che tortura le persone sottoposte ad interrogatorio. Vista da dentro, questa sembra un gran brutta faccenda. Ed è un affare che si svolge esclusivamente nelle alte sfere, uno scontro tra poteri che non conosce regole, e che nulla ha a che vedere col sentimento della gente, con i suoi pensieri e le sue rivendicazioni. La Storia si svolge all’interno dei palazzi, nelle loro stanze segrete, talvolta nei loro sotterranei. Qualche idealista si illude che quella sia una guerra vera, che riguarda tutti, perché in ballo vi sono i valori ed il futuro della società. Nella strategia della tensione il sogno di qualche militante si specchia nell’incubo delle masse, ma il vero nodo da sciogliere è una questione contingente, e molto più sottile, che pone al centro la vita di un uomo, ma che si esprime meramente in termini di opportunità politica. Il meccanismo è sofisticato, però solo a livello teorico, perché nella concretezza si manifesta in forma alquanto rozza.  Il retroscena della cronaca si propone come un cinico teatro di varie nefandezze umane, un’infernale commistione di intelligenza e istinto, di genio criminale e primitiva perversione. Sotto il profilo morale, tutti vivono dentro un maledetto errore, ma alcuni sono più cattivi di altri. Gli individui si distinguono in cacciatori e prede, ed i forti si accaniscono sui deboli: il conflitto si disputa secondo le ancestrali categorie della lotta per la sopravvivenza, che offre in premio la vertigine del predominio. In questo film l’analisi critica degli eventi scalpita per sconfinare nella rappresentazione di un’ebbrezza militante che sfigura i personaggi  fino a renderli mostruosi; l’esaltazione dei rispettivi ruoli è usata come ritocco estetico che cancella le sfumature e smaschera, a seconda dei casi, il lato grottesco dell’ipocrisia o dell’eccesso di coerenza. Una ballata artificiosamente sinistra e squilibrata nei toni risulta così perfettamente bilanciata almeno nel suo intento di distribuire, da una parte e dall’altra, le sue accuse di distanza dalla vera realtà del Paese. 

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